Intervista a Jose Paulo Cavalcanti Filho: passione Pessoa
Dopo aver recensito il suo libro Fernando Pessoa, una quasi autobiografia, abbiamo avuto la possibilità di intervistare lo scrittore Jose Paulo Cavalcanti Filho grazie all’Ufficio Stampa di edizionianordest e soprattutto alla preziosa collaborazione della traduttrice Teresa Bonafede.
QUALI VICENDE PERSONALI HANNO SPINTO JPCF A SCRIVERE “DI” E “SU” PESSOA?
Tutto è cominciato quando ho ascoltato un disco di Joao Villaret che recitava una poesia, “Tabaccheria“. È stata una sensazione spaventosa, come conoscere un genio allo stato puro. Da lì abbiamo camminato insieme.
Tornando al libro, ricordo che l’editore mi fece notare che l’opera di Pessoa era conosciuta in Portogallo, Brasile e in altre parti del mondo, ma che l’uomo- Pessoa rimaneva sconosciuto. Chi era lui? Amori, delusioni, fallimenti… Nei dieci anni che ho passato a scrivere ho vissuto un momento decisivo: quello in cui mi resi conto che Pessoa scriveva solo di ciò che gli era vicino. So bene che questo è normale per gli scrittori, che pezzi della propria vita si spargano nella propria opera, solo che nessuno come lui è stato così lontano da ciò che aveva vicino, perciò si può azzardare l’affermazione che Pessoa non avesse immaginazione. Non che non sognasse meraviglie, ma le sue parole arrivavano da chi e da cosa gli stava vicino. Quando ho capito questo ho riletto la sua opera e tutto ha trovato una sua collocazione. Ora sapevo per chi scriveva e cosa volesse dire. È stata un’illuminazione. Mi è sembrato di avere tra le mani il testamento di Pessoa, lasciatomi perché venisse letto.
JPCF PENSA DI ESSERE UN AUTENTICO ETERONIMO DI PESSOA?
Lungi da me! È chiaro che non sono un eteronimo! Ne approfitto per dire che, secondo me, l’importanza degli eteronimi è stata sopravvalutata. L’ispirazione, come si sa, gli venne da Soren Kierkegaard che solo alla fine della sua vita abbandonò i suoi sette eteronimi e scrisse a nome suo. Lo stesso accadde a Pessoa che nel 1934 abbandonò i suoi eteronimi e scrisse il suo libro di 300/400 pagine, il suo libro migliore, che sperava potesse fargli vincere il tanto sospirato Nobel. Lo scritto su questi eteronimi è molto dettagliato, soprattutto Alvaro de Campos, il più noto, nato omosessuale come Pessoa non ebbe mai il coraggio di essere. Così lui diventa Alvaro e dice che se fosse stato come lui non gli sarebbe dispiaciuto sposare un marinaio, senza tralasciare che, nelle ultime poesie, lo vediamo in casa conversare di futilità con la moglie.
COME SI SPIEGA IL SUCCESSO DI UN LIBRO NON FACILE?
Semplice. Pessoa risveglia una cosa molto bella nelle persone, la passione. Questa è la chiave del successo del libro e l’elemento che mancava per conoscere l’uomo, ed il desiderio di conoscerlo meglio ha spinto tanti a comprare il libro. Forse c’è anche un’altra ragione, ma per me è più difficile parlarne: i pessoani avevano sempre scritto innanzitutto per loro stessi come se stessero facendo un resoconto contabile, mancava la passione, mancava il “sangue”. Invece, io ho scritto pensando che il lettore potesse leggere della vita di Pessoa come se leggesse un romanzo. Sembra che i fatti mi abbiano dato ragione, basti pensare che l’Accademia delle Lettere Brasiliana lo ha eletto all’unanimità il miglior libro del 2012 e non è poco. Viva Pessoa!
JPCF SI RITIENE UNO SCRITTORE O “SOLO” IL BIOGRAFO DI PESSOA? SCRIVERÀ ALTRI LIBRI O HA GIÀ SCRITTO TUTTO CIÒ CHE AVEVA DA SCRIVERE?
Sono uno che ha scoperto la dimensione eterna di Pessoa. Solo questo. Ho già scritto due libri, l’audio- libro, che è più un adattamento, sta andando benissimo; sto scrivendo anche per una serie televisiva su Pessoa. Il resto verrà oppure no, lo deciderà il destino. Come scrisse Pessoa nel 1926 in una poesia senza titolo:
Dicono?
Dimenticano.
Non dicono?
Hanno detto.
Fanno?
È fatale.
Non fanno?
È uguale.
Perché
aspettare.
Tutto è
sognare.