“Lecce mirabili itinerari” di una città che non ci si stanca di ammirare
La madre magna e la figlia uarda. Dove avrà mai cittadinanza questo esempio di deteriore cinismo familiare (la madre mangia e la figlia sta a guardare)? A Lecce. Però è un equivoco, un clamoroso svarione storico, visto che deriva da una traduzione sballata, da parte dei popolani leccesi, dell’iscrizione latina (Magna mater filiae parvae, molto semplicemente: la grande madre alla piccola figlia) su una colonna di porfido, regalata dall’antica Roma alla cittadina laggiù in Apulia.
Da qui alla versione spiritosa – che sottenderebbe tuttavia un rapporto genitoriale perverso – ce ne vuole. Fatto sta, che si usa tuttora interpretare così quella breve incisione.
Lecce, capoluogo del Salento, una regione nella regione, in Puglia. Lo si apprende leggendo un bel libro, illustrato con grandi foto a colori, realizzato dalla giornalista Silvia Famularo e del prof. Luigiantonio Montefusco, per le edizioni leccesi Capone: Lecce mirabili itinerari (128 pagine, 40 euro).
I percorsi suggeriti con competenza dai due autori appassionati, e proposti con dovizia di immagini e cura grafica dall’editore salentino, sono quelli che partono dalle quattro porte che danno accesso al centro storico della città barocca, denominando altrettanti portaggi (rioni). A loro volta, i quartieri sono ripartiti in insulae (isolati), che prendono i nomi da chiese e palazzi che vi sorgono o sorgevano o da episodi, leggende, personaggi che sono legati ai luoghi.
Porta San Martino, che ha sostituito la più antica della città, Porta San Giusto, la più recente, Porta San Biagio la grande e Porta Rudiae la più fantastica. Quattro varchi, quindi, i rispettivi portaggi e le suggestive passeggiate nelle strade che convergono verso i due classici punti di incontro e di riferimento cittadini: Piazza Duomo e Piazza Sant’Oronzo, quella che ospita il bellissimo anfiteatro romano e la statua del vescovo protettore, benedicente dall’alto di una colonna alta 29 metri.
Il volume è diviso in quattro monografie, coloratissime per via delle tante foto in quadricromia che accompagnano il testo, ricche di suggestioni anche per gli aneddoti, i miti e le vicende storiche che vi si riferiscono e che vengono riferite. Grandi portali monumentali, con ampi fornici di ingresso ed eleganti colonne all’esterno, danno accesso agli spazi urbani di una città che conserva un intrigante gusto di antico, in modo turisticamente efficace e culturalmente molto stimolante.
La migliore età di Lecce, al di là del suo pur consistente passato risalente alla Magna Grecia e all’epoca latina, fiorisce tra il 1500 e il 1800, da un sovrano spagnolo ai regnanti di origine spagnola ma napoletanissimi del XIX secolo.
Il XVI è quello di Carlo V, per il quale la città si mise in ghingheri in vista di una sua visita annunciata, ma restò delusa, dal momento che il Sacro Romano Imperatore la tradì e non arrivò più. Tornando ai Borboni, avevano una predilezione per la capitale del barocco, lo stile che l’ha resa famosa e che si ammira nelle tante chiese, nelle facciate e corti interne di palazzi pubblici e privati.
È peraltro l’epoca corrispondente ai duecento anni di massima fortuna per la città, tra i primi del 1600 e fine 1700. Non a caso, risale al 1717 una dichiarazione d’affetto di un protagonista del Grand Tour, il turismo europeo d’élite che ha frequentato anche il Mezzogiorno d’Italia nel 1700.
scriveva il religioso irlandese George Berkeley (famoso insieme ai colleghi filosofi empiristi britannici Hume e Locke), con un entusiasmo magari un tantino esagerato, che lo portava a preferire la filia parva alla magna mater, la piccola Lecce alla grande Roma.
Sarà per lo splendore del barocco, per alcuni perfino eccessivo. Sarà per il fascino di tanti angoli, per la luce unica che di giorno illumina pietre, edifici e strade (ed anche di notte, ricordando il primo esperimento di pubblica illuminazione nel 1859, alla presenza di re Ferdinando). Sarà anche per quelle sue quattro porte, ma Lecce è sempre meta di turisti da ogni parte d’Italia e del mondo, che guardano con occhi ammirati le sue meraviglie.