“La casa di tutte le guerre” e il grande segreto delle piccole Silvia e Lisa
Fine Anni ’60 in Italia, sull’Appennino, tra Romagna e Toscana, in provincia di Forlì. Tempo di capelloni e minigonne, di Ovomaltina, frigoriferi Rex e quadretti delle anime del Purgatorio, immerse nel fuoco fino alla cintola, appesi nei corridoi delle case. C’è gusto di cose andate in un romanzo delicato e dolce, come la bambina protagonista, vivace e ingenuamente prepotente. La casa di tutte le guerre, sapori di provincia italiana, storia di sentimenti veri. L’ha scritta Simonetta Tassinari e l’ha pubblicata Corbaccio (246 pagine 14,90 euro). Rocca San Casciano, sulla statale tosco-romagnola, tutta curve e paesaggi mozzafiato. Nemmeno tremila anime, gli uomini al bar, le donne a ficcanasare dietro le persiane di edifici tutti uguali, coi tetti di tegole rosse. L’odore di ragù che si spande nelle strade la domenica e le botteghe con le insegne di legno, compresa quella misteriosa e indecifrabile per la bambina: “Coloniali”. Silvia Frassineti, dieci anni e mezzo nell’estate del 1967, è l’io narrante. Vive a Bologna, papà bancario, mamma maestra. A Rocca ci viene i mesi estivi, alloggiando dalla nonna paterna Mary Frances, donna di origini inglesi, molto rispettata, la più ricca del Paese. Intelligente e sveglia, Silvia è minuta, la più bassa della classe, ancora doveva sollevarsi sulle punte per fare quello che i compagni e le compagne facevano coi piedi ben piantati al suolo. A nulla erano servite carrettate di olio di fegato di merluzzo da pareggiare il suo peso corporeo e bicchieri di latte a pranzo, cena, colazione e merenda, per rafforzare le ossa, sosteneva nonna Frances e confermava Bea, la fedele governante, da sempre a servizio nella casa di tutte le guerre, come tutti chiamavano villa Frassineti, perché tante ne aveva vissute, una specie di sede istituzionale a Rocca San Casciano, vi si era stabilito perfino un Comando alleato al passaggio del fronte. Capostipite, quel bel tipo del bisnonno Oreste, un possidente che nella vita non faceva quasi niente, ma quel niente con molto gusto e distinzione. La bambina è viziatella ma intraprendente e coraggiosa, con la mente sempre impegnata da piani e progetti. Da grande sarà l’indossatrice – al momento è questo che vorrebbe fare – magari l’incassatrice-avvocato, per aiutare i deboli. Dividerà l’attenzione dei lettori con un’altra piccola-grande presenza femminile, Lisa. Stessa età, orfana di mamma, figlia di uno spiantato lì sull’Alpe romagnola, uno che si arrangia con mille lavori senza averne uno buono, Tito Bandini. Il comunista. Lisa, nervosa, intrattabile, sporca, aggressiva, però le piace disegnare e lo fa bene. Lisa, che secondo la neo amica Silvia se fosse cresciuta in una famiglia normale avrebbe avuto un carattere espansivo. È bella, ha una risata spontanea, denti regolari, piccoli, bianchi, capelli ricci, fino alla schiena, con tante sfumature di biondo. Lisa, che se si lavasse il viso avrebbe una pelle di porcellana. Lisa, che fa la ribelle trasgressiva per protesta contro il mondo borghese che non la merita e a scuola si ostina a fingere di non avere imparato niente, per non dare alla maestra la soddisfazione di averle insegnato qualcosa. Sulle prime ha picchiato di brutto quella figlia di ricchi che le dava sui nervi, poi ha accetto di avvicinarla, perché le è piaciuto come la bambina abbia saputo tenere testa al suo burbero papà, quando l’ha sorpresa a curiosare nel suo deposito. Soprattutto, Silvia ha dimostrato di apprezzare i suoi disegni. Nessuno la ha fatto mai, prima. Diventano grandi amiche. Silvia e Lisa, ora inseparabili, scopriranno un segreto della famiglia Frassineti. Una pagina nascosta e rimossa, che tutti in Paese conoscono, ma di cui nessuno vuole parlare. Un segreto che le avvicina ancora di più. Sul finire, il romanzo si apre a momenti dolcissimi e malinconici, ma resta vitale, guizzante di sentimenti veri. Una storia, dice Simonetta Tassinari, che vuole essere piuma, non pietra. Da non perdere. Assolutamente.