Sono un Marine: arruolamento addestramento e azione di un corpo di élite
A diciotto anni si studia, molto o poco. Si pensa all’amore, molto. Ci si interroga sul futuro, poco. Si gioca ancora, a qualsiasi cosa possa piacere. In America a diciotto anni un ragazzo può andare volontario nei Marines. Charleston, Carolina del Sud, centro di addestramento di Parris Island. È lì che è diretto l’autore e protagonista della storia raccontata in questo libro. La sua storia, anche se non si chiama David Tell, com’è scritto invece sulla copertina di Io sono un’arma (Longanesi, 618 pagine, 19,90 euro). Non può rivelare la vera identità, è ancora vincolato alla riservatezza su molti contenuti, compreso il nome, anche se non appartiene più al Corpo.
L’addestramento? Ubbidire e soffrire in silenzio
Correre, sempre correre, affrettarsi, per portare a termine qualsiasi compito. Rispondere “Sissignore” a tutta voce. Subire ordini urlati, imprecazioni e minacce dagli istruttori. Leggere in ogni momento libero un solo libro: il Manuale dei Marines. Rifare all’infinito ogni cosa, resistere a stress fisici e psicologici insistenti, tutto per scoprire dentro di sé le risorse fisiche estreme, in un ambiente ostile, mentre i superiori osservano e valutano. Ed è solo la prima settimana. Dalla seconda il trattamento si fa più duro. È una prova al limite, si è sotto pressione costante e l’errore di uno vuol dire una punizione per tutti. Serve a cementare lo spirito di gruppo, la collaborazione orizzontale, che è la base dello spirito di corpo. Anche l’attività fisica impegna allo spasimo. Si corre, con o senza scarponi, perfino con uno sì e uno no, se non si fa in tempo a calzarli. Esercizi, piegamenti, flessioni, all’aperto, al chiuso e in piscina, anche con lo zaino in spalla, anfibi ai piedi e fucile d’assalto sollevato fuori dall’acqua. Il corso è diviso in tre fasi. Se una non si completa, si riparte dall’inizio della fase. La seconda è dedicata alle armi. Al poligono, oltre che a sparare, una recluta dei Marines impara che non può schiacciare la zanzara che lo sta pungendo, gli dicono che è più importante di lui e che ha il diritto di mangiare (insegna a mantenere la posizione occultata in un’eventuale azione, ignorando gli insetti). Tell ottiene il brevetto di tiratore. Terza: formazione bellica di base. Tutte le armi e gli esplosivi. Le prime due fasi servono a distruggere il ragazzo, l’ultima a ricostruirlo come un Marine.
Ultimo passaggio: addestramento al combattimento
David ce l’ha fatta, ha superato i “giochetti” degli istruttori, i tranelli, le perfidie. L’intero impianto addestrativo è studiato per individuare i non idonei ma è reso esasperato dal sadismo aggiuntivo di qualche sottufficiale. Ora però David si sente diverso, sa cosa non è, non ancora chi è. E ha solo diciotto anni. Sono bastati quattro mesi per separarlo dal mondo dei civili. Fuori tutto è rimasto uguale. È lui che è diventato diverso. Durante il corso e nella permanenza nel Corpo ho imparato molto, dice. A cominciare da quella che sembra essere la regola base dell’US Marine Corps: sbrigati e aspetta. Ossia: fai prestissimo ogni cosa e poi fai trascorrere inutilmente il tempo guadagnato. C’è poi la differenza etica fondamentale tra buoni e cattivi Marines, tra chi accetta il lavoro e chi lo scansa, chi è disponibile a sacrificare se stesso per il gruppo e chi pensa solo a sé. Tra gli scadenti, Tell dice di aver incontrato lo stesso genere di brutti soggetti incrociati crescendo: i bulli, i ladri, i maleducati, gli egoisti, gli stupidi. Sostiene di aver deciso di diventare un bravo Marine proprio come forma di rifiuto nei confronti di quei vuoti a perdere. Collaborativi e lavativi, due categorie che si ritrovano anche nella vita di tutti i giorni, nella società civile, solo che si chiamano brave e cattive persone, buoni e pessimi cittadini. Se prevalessero i secondi non ci sarebbe una forza militare, non una comunità, non una civiltà e non è questione di colore della pelle, di religione o di tradizioni.