Salvate il mio bambino di Steven Pressman. A futura memoria…
A futura memoria…
Quando si sente pronunciare la parola “Olocausto” vengono subito in mente le cifre spaventose dei sei milioni di ebrei assassinati nel corso di una esasperazione antirazziale assurda. Le cifre sono così impressionanti che nonostante decenni di sforzi da parte di istituzioni della memoria, studiosi, autorità giudiziarie e organizzazioni umanitarie è stato impossibile rintracciare i nomi di tutte le vittime come è stato diffcile identificare e processare gli assassini e i loro collaboratori del massacro.
Nell’ottica della salvaguardia della memoria si inserisce il libro Salvate il mio bambino scritto dall’americano Steven Pressman su una vicenda familiare risalente al periodo nazista.
La trama
L’anno è il 1939. I nazisti hanno conquistato con l’Anschluss l’Austria e per il momento consentono ancora agli ebrei di lasciare il paese. Almeno a parole, perché avendo sequestrato tutti i loro beni, quasi nessuno ha i mezzi per farlo. La sensazione che si tratti di una concessione a breve termine è molto forte sia in Austria, che al di là dell’Oceano. Tante le situazioni che le famiglie ebree si trovano a vivere all’improvviso, tante le narrazioni di bambini innocenti inconsapevoli di quanto stava succedendo.
Gilbert ed Eleanor Kraus sono una tranquilla coppia di ebrei americani che vive a Philadelphia con i due figli. Una sera Gil torna a casa con una proposta assurda: portare negli Stati Uniti 50 bambini ebrei e affidarli a famiglie temporanee. La folle proposta diventa un tarlo nella mente di Eleonor; lei così bella, sofisticata, abituata ad una vita di lussi e agi, la cui vita consiste nelle cene sociali, accudire i figli, occuparsi del ménage e della moda, comincia a pensare che, pur avendo scarne notizie dalla stampa, la situazione in Europa sia drammatica e intervenire nel suo piccolo sia un dovere morale.
Comincia così un lavoro di squadra che vede coinvolta la coppia, ciascuno secondo le proprie competenze e la comunità ebraica di Philadelphia. Il progetto è di ampio respiro, ambizioso e da molti reputato irrealizzabile. Per cominciare, Gil coinvolge innanzi tutto le personalità illustri della loggia ebrea del Brith Sholom; grazie a varie conoscenze riesce a contattare le autorità dell’immigrazione, le autorità diplomatiche come Messersmith e Geist, segretari di stato, politici e personalità in vista.
Il progetto ha come scoglio principale il rispetto delle leggi sull’immigrazione tanto rigide negli Stati Uniti. In particolare, oltre il visto rilasciato dalla Germania, (in un numero definito annualmente dal governo americano), ogni bambino necessitava di uno sponsor che garantisce, una volta entrato negli Stati Uniti, che non sarebbe stato un peso per la società e non sarebbe dipeso da alcun sostegno pubblico. L’esodo costante degli ebrei dall’Austria e dalla Germania aveva inasprito i controlli americani, code di ebrei si formavano quotidianamente alle ambasciate per ottenere visti. Ma le famiglie senza legami negli Stati Uniti non avevano alcuna possibilità di successo. Ci fu persino una donna che nella disperazione
Parte così questa crociata per salvare i bambini. Gilbert ed Eleanor riescono a salpare per Vienna, dopo innumerevoli tentativi di dissuasione e campagne avverse apparse sui giornali americani.
Diversi sono gli inconvenienti, le situazioni e gli ostacoli che incontrano per portare avanti l’impresa. I coniugi si trovano catapultati in una Vienna invasa da svastiche, bandiere e ritratti del Fuhrer in ogni vetrina. La meravigliosa Vienna, elegante e affascinante non esiste più.
La critica
Salvate il mio bambino è libro che ha una buona scorrevolezza ed è di facile lettura. L’autore offre molti spunti di riflessione poiché è ben documentato. Egli parte dal diario di Eleanor, nonna di sua moglie, trovato tra gli incartamenti di una loro vecchia casa. Il contenuto di una cartellina assieme a più di una dozzina di passaporti tedeschi svela nei dettagli la missione compiuta nella primavera del 1939. Ciò che a prima vista può sembrare frutto di immaginazione si rivela ricco di dettagli e dal significato storico importante. Solo nel 2012 Steven Pressman riesce ad approfondire la vicenda a lungo nascosta e affascinante. Parte così con una serie di ricerche approfondite per comprendere meglio gli ostacoli, i personaggi e il contesto sociale e politico del 1939. Egli ne fa anche un documentario per la HBO dal titolo 50 Children.
Il testo è ben articolato e mai pedante, ricco di note esplicative sulla vita di personaggi, autorità, amici che hanno preso parte in qualunque modo all’impresa. Bellissimo leggere gli scritti dei bambini ebrei salvati; dapprima sulla loro vita tranquilla a Vienna, poi sui feroci cambiamenti, infine le descrizioni dell’agognata America. Emozioni, paure, sensazioni e delusioni sono schiettamente narrate in prima persona con l’innocenza dell’età e la sincerità di chi ha attraversato il buio. Il sogno americano è così corollato. La nuova vita oltreoceano è ricca di esperienze e amicizie.
Ogni personaggio è descritto attraverso le notizie biografiche ma e soprattutto attraverso gli scritti di Eleanor. Schietta, diretta, senza fronzoli ma con la compostezza che il ruolo di donna americana del suo status richiedeva. L’autore non ha voluto celare la vita agiata, l’abitudine a tenore di vita alto, alla frivolezza come il concedersi shopping di lusso: “Cosa fa una donna quando è giù di morale? Si compra un cappello!”.
Ma al tempo stesso la protagonista è presa da sentimenti di profondo dolore per la situazione in cui migliaia di famiglie ebree si trovavano. Mai un momento di esitazione per l’impresa voluta e affrontata con coraggio con il marito.
Il successo dell’impresa è stato possibile grazie ad una serie di situazioni favorevoli in un periodo storico e sociale terribile in cui l’Europa imperversava. La forte presenza e compattezza della comunità ebraica americana ha scaturito conoscenze e mediazioni importanti. Pur nel rispetto della legge sull’immigrazione, la diplomazia e l’accondiscendenza hanno esercitato un ruolo fondamentale. Le storie dei salvatori durante l’Olocausto non sempre sono note. Le persone che diventarono salvatori non lo fecero per ottenere riconoscimenti. La storia di Gilbert e Eleanor Kraus è una di esse perché si svolse in un periodo in cui gli ebrei potevano emigrare, ma molti stati si opponevano puntando contro l’opinione pubblica, o a causa dell’insensibilità dei governi, e in generale di disinteresse e mancanza di compassione umana. Ignorare è più facile che affrontare con coraggio.
“A futura memoria” perché l’odio razziale, religioso e ideologico è notizia di questi giorni e nonostante la storia ci riporti tragedie immense, i pregiudizi uccidono ancora!
Annalisa Andriani
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