“Salvate l’arte italiana”: Monuments Men in azione con la collaborazione dei tedeschi
Il mondo sarebbe diventato più povero se l’Ultima Cena, nel refettorio di Santa Maria delle Grazie, a Milano, fosse andata distrutta sotto le bombe nella seconda guerra mondiale. Robert M. Edsel se ne dichiara certo, tirando un sospiro di sollievo davanti all’affresco di Leonardo, in avvio del suo “Saving Italy”, Monuments Men: missione Italia (Sperling & Kupfer, 400 pagine 16,90 euro), monografia dedicata al Bel Paese, dopo il primo best seller sulla Sezione Monumenti, Belle Arti e Archivi dell’esercito alleato.
Quarantotto uomini e donne, esperti d’arte e curatori di musei arruolati in divisa USA, che hanno salvato una parte cospicua del patrimonio artistico d’Europa, operando con zelo e passione, tra il 1943 e il 1951.
Per tutto il conflitto i nazisti hanno rubato, sequestrato, trasferito nel Reich convogli interi di opere dai Paesi satelliti e occupati. Spogliando il Vecchio Continente in aggiunta alla guerra, che con l’ottusità della sua violenza già costituiva una minaccia costante per l’arte e l’architettura. Il paradosso è che gli Alleati cercavano di proteggere quello che i loro stessi strumenti di offesa avevano tentato inconsapevolmente di distruggere. Peraltro, anche alcuni nazifascisti si preoccupavano di preservare le ricchezze artistiche, sottraendole alle mani rapaci di Hitler e dei gerarchi.
Il 16 agosto 1943, mentre l’Italia aveva destituito Mussolini ma non ancora deposto le armi contro gli angloamericani, un bombardamento inglese mandò in pezzi l’ala destra del refettorio domenicano ambrosiano delle Grazie. Cadde anche parte della volta. Da Vinci aveva dipinto il cenacolo sulla parete nord, che resse miracolosamente alla bomba esplosa a distanza di neanche venti metri. Altrimenti non avrebbero potuto nulla i sacchi di sabbia che la proteggevano quantomeno dalle schegge, rinforzati da travi di legno e intelaiature in metallo.
Ordigni dall’alto, il più grande pericolo di tutti i tempi per il patrimonio artistico. Quando 662 fortezze volanti americane colpirono la stazione di Roma il 19 luglio 1943, il Colosseo distava solo un chilometro e la basilica di San Lorenzo fuori le mura era proprio là, sotto le 4mila bombe sganciate. Infatti venne danneggiata. Ad essere demolita completamente, senza una vera ragione bellica, da 453 tonnellate di ordigni esplosivi e incendiari fu l’abbazia di Montecassino, investita il 15 febbraio 1944 da otto ondate di velivoli alleati. Dalla distruzione dell’edificio storico si salvarono i beni artistici che vi erano stati raccolti in tanti secoli. Erano al sicuro.
Gli stessi tedeschi, la Wermacht e il capo delle SS in Italia Karl Wolff, li avevano strappati a Goering, nascondendoli a Roma, sotto Castel Sant’Angelo. Più di cento camion germanici pieni zeppi avevano trasferito in tre settimane 40mila pergamene, 100mila testi a stampa, 1200 manoscritti miniati, decine di migliaia di documenti cartacei, libri antichi, oggetti d’arte sacra, oltre a reperti e capolavori dei musei pompeiani e campani, da qualche tempo custoditi segretamente nei sotterranei del monastero benedettino.
Dalla parte dei buoni, erano schierati i Monuments Men. Operavano anche contro l’incuria dei militari angloamericani, sebbene Eisenhower avesse raccomandato di rispettare l’arte italiana “nella misura possibile in guerra”. Ma erano in gara pure i tedeschi: il feldmaresciallo Kesselring aveva ordinato alle truppe di rispettare le costruzioni storiche e opere d’arte e cercava di agire a fin di bene perfino il Kunstschuntz, la Sezione Cultura Europea, corrispettivo teutonico dei Monumets, un corpo militarizzato nato per depredare e spedire a Berlino, compito non eseguito alla lettera, per fortuna. E gli italiani? Stavano a guardare, impotenti o indifferenti. In minoranza, cinici, come Mussolini, per il quale tutta l’arte nostrana si sarebbe potuta vendere alla Germania, comprando armamenti. La morte in cambio della storia.
Esemplare la sorte di Firenze. I beni trasferiti un po’ dovunque nel nord Italia, sottratti dal buon senso di alcuni tedeschi alla cupidigia di altri tedeschi. In città, i loro genieri fecero saltare tutti i ponti, per ritardare il passaggio dell’Arno. Solo Ponte Vecchio si vedeva in piedi, ma non intatto. Tutto intorno, macerie. Edifici artistici e parti del Corridoio vasariano ridotti in pezzi. Cumuli di detriti alti anche dieci metri. Un dolore per tutti, amici e nemici.
L’autore entra nel dettaglio di tante situazioni ed episodi, un lavoro molto ampio, in proporzione allo sconfinato patrimonio culturale nazionale. Apprezzabile l’avvertenza finale: sono ancora centinaia di migliaia i tesori trafugati durante il conflitto e mancanti all’appello, per questo Edsel invita i lettori a prendere contatto con www.monumentsmenfoundation.org, per segnalare eventuali tracce o ritrovamenti, tuttora possibili.