Intervista a Flavio Bulgarelli
Incontriamo Flavio Bulgarelli, autore del romanzo Conigli di Città.
Ci racconti un po’ di sé: chi è Flavio Bulgarelli?
Beh, è una storia lunga, ormai; vedrò di riassumere. Cominciamo col dire che sono modenese di nascita e milanese di adozione, e aggiungo che poiché mio padre, piccolo imprenditore, mi vedeva come destinatario della sua azienda mi indirizzò verso un istituto tecnico. Ne uscii come perito industriale malgrado mi occupassi più di giornalismo e di musica che di elettronica. Scrissi il mio primo articolo sulla Gazzetta di Modena a 16 anni e a 18 facevo parte di un’orchestrina vagamente jazz come chitarrista e, in mancanza di meglio, come cantante soft alla Fred Bongusto.
Assunto alla Edisonvolta di Milano, poiché una sociologa che si occupava di selezione del personale trovò più interessante il mio discorrere sull’arte nuragica, argomento trattato in un mio articolo, piuttosto che lo scritto d’esame sulla “conduttività delle prese di terra”, di stanza a Milano, potei quindi prendere contatto con una casa editrice musicale, tanto veloce nel farmi firmare un contratto quanto nel chiudere i battenti.
Poi fu la volta del mio ingresso fortunoso in IBM Italia, in qualità di analista di laboratorio prove, dove con il supporto del club del personale fondai la Sezione attività teatrali. Tutto procedeva per il meglio sennonché in città aprì le porte il Centro Sperimentale di Giornalismo, dove insegnavano diverse firme famose del settimanale Europeo, tra cui: Oriana Fallaci e Gianfranco Vené. Al termine del corso biennale, gioco forza, l’IBM mi offrì di mollare il laboratorio e di entrare a far parte della Direzione Comunicazioni dove, col passare degli anni, migrai dall’ufficio stampa all’ufficio pubblicità al settore media.
Finché un giorno decisi di verificare se riuscivo a nuotare in mare aperto e non solo nella comoda piscina di una grande multinazionale. Per cui aprii uno studio di giornalismo promozionale riuscendo a sopravvivere fino alla pensione.
Cosa rappresenta per lei Conigli di Città?
Il mio secondo romanzo, scritto parecchi anni dopo Ulivi, fraulein e pappagalli del Garda che mi aveva avvicinato alla narrativa. Mettendo giù quel testo misi a fuoco parecchie cose sullo scrivere andando di lungo.
Lei ha raccontato uno spaccato della piccola borghesia milanese con una certa nostalgia, quasi che alcuni pezzi le appartenessero personalmente. Mi sbaglio?
Qualcosa di mio c’è in quel romanzo, ma soprattutto ci sono figure, personaggi, che mi avevano profondamente colpito durante le mie frequentazioni milanesi, quasi affascinato, stante la diversità con il mondo che conoscevo.
Cosa l’ha spinta a raccontare la famiglia Novazzi?
Il ritenere che una famiglia del genere, così vulnerabile ma in fondo così forte, poteva formarsi e sopravvivere qui in Milano più facilmente che altrove. Ho girato il mondo ma certe tipologie di donne e di uomini che ho conosciuto (e a volte ammirato) da queste parti per me hanno rappresentato un’eccezione.
Lei ha una vasta produzione letteraria e teatrale: ha ancora in serbo altri romanzi?
Beh, ormai è un vizio… Ho in mente un libro per ragazzi legato a una mia canzone: “Asia and Jolly”. Due amabili barboncini, lei veneziana, nata il laguna, e lui di Brooklyn New York.