Un messaggio in bottiglia, in un mare di sabbia | Vincente Gramaje
Una busta in una bottiglia con una lettera d’amore, scritta quasi un secolo prima, come un ultimo saluto affidato al mare, questa volta di sabbia. L’ha trovata un medico, in una fossa comune militare, soldati spagnoli uccisi in Marocco nel 1921. Victor Montescuro è uno sbandato, come molti di quei caduti. Ha interrotto la professione, è in aspettativa, ma soprattutto in crisi con se stesso, da quando ha perso la moglie per un cancro che lui non aveva diagnosticato in tempo. Non si dà pace.
L’ha vista spegnersi, senza poter far niente, cosciente e angosciato, come tanti personaggi – spettatori impotenti del disastro al quale stanno andando incontro – de Quando leggerai questa lettera, (Longanesi, 335 pagine), primo ottimo romanzo del valenciano Vicente Gramaje, medico, come il dottore disperato della sua storia.
Questi, in giro per le montagne del Rif, assiste per caso all’esumazione delle spoglie di connazionali sul Monte Arruit, altri fanti massacrati dai ribelli nel disastro di Arrual, estate del ’21, quando tutte le guarnigioni spagnole a ovest di Melilla vennero sopraffatte in tre giorni di assedi e ritirate disperate. Comandanti superiori inadeguati, truppe impreparate, pessima organizzazione, avversari spietati. Diecimila morti in una settimana.
Si ripromette di consegnare quella bottiglia, sfuggita all’attenzione di tutti, ma il contenuto lo attrae: la lettera è indirizzata a Noelia Claramunt e c’è un recapito, in Spagna. Victor vi si reca e scopre che la donna è morta nel 1965, però ha un figlio. La ricerca può continuare, è diventata una ragione di vita. Si è autoassunto il compito di consegnarla, sia pure novant’anni dopo.
Intanto, Gramaje apre una finestra su un reparto dell’esercito spagnolo, comandato dall’ufficiale che ha firmato il messaggio, il capitano Pedro Gimeno Trester. Un accampamento sulle alture. Una settantina di soldati di fanteria. Sacchi di sabbia e filo spinato. Niente acqua, bisogna scendere a prenderla 500 metri in basso, allo scoperto. I berberi che hanno di fronte sono implacabili. Più numerosi, adatti al luogo inospitale. Feroci con i nemici, non rispettano i patti, usano le lame con destrezza e odiano visceralmente gli spagnoli, che ritengono codardi e vili, perchè i comandi impegnavano soprattutto truppe indigene, risparmiando i militari nazionali, per evitare perdite che avrebbero scatenato reazioni popolari in patria, dove erano molto sensibili alla sorte dei propri figli in Africa.
Montescuro gira la Spagna, in cerca della signora Noelia, poi del figlio, poi della sua famiglia. Affianco a lui c’è Claudia Navarro, franca e leale capitano del Genio, conosciuta perchè era al comando del reparto incaricato di prelevare i nuovi resti affiorati nei lavori ad Arruit. Una ricerca che interseca la storia spagnola, compresa naturalmente la Guerra civile scoppiata nel 1936, che ha insanguinato il Paese e lasciato lutti ancora visibili. La stessa famiglia Claramut era stata fucilata nei primi giorni del Pronunciamiento.
E si continua intanto a seguire la vicenda parallela di Gimeno, che aveva difeso una posizione dimenticata, isolato tra i nemici, senz’acqua, con le munizioni agli sgoccioli. Si era arreso, in cambio della salvezza dei superstiti – uccisi ugualmente, tuttavia – e prima aveva fatto nascondere tra i cadaveri una bottiglia sigillata. I mori l’avrebbero ignorata, ma i soccorritori, ritrovandola, avrebbero fatto recapitare la busta alla signorina Noelia. E al bambino che portava in grembo.
Un particolare: in una cassa di metallo, nel Pantheon degli Eroi del cimitero dell’Immacolata Concezione a Melilla, accanto ai resti dei caduti nelle campagne coloniali, sono custoditi gli oggetti rivenuti nella fossa di Monte Arruit. Tra bottoni, fibbie, distintivi, anche una bottiglia. L’autore confessa di aver pianto scrivendo l’ultimo capitolo.
Quando leggerai questa lettera è disponibile per l’acquisto su LaFeltrinelli a 12,66 euro. Se volete conoscere un altro punto di vista dedicato a questo libro, leggete la recensione della nostra Caterina Geraci.