L’ablazione di Tahar Ben Jelloun, un libro per lettori raffinati
Ad un uomo di circa 60 anni, vedovo, matematico di gran fama, amante della poesia e della letteratura, viene diagnosticato un tumore alla prostata. La gravità del male rende necessario un intervento chirurgico, una cosiddetta ablazione, ovvero l’asportazione chirurgica parziale o completa di un organo, nella fattispecie un “prostatectomia”. In altre parole, l’uomo dovrà accettare che una parte di lui venga eliminata, dopo lo aspetterà una vita senza più erezioni, senza sesso, per un certo periodo o per sempre…..
A prima vista, l’ultimo romanzo di Ben Jelloun potrebbe sembrare l’ennesima, sia pur pregevole, narrazione di una storia di sofferenza umana, quella di un uomo che dovrà subire una castrazione. Si tratterebbe, dunque, di affrontare a viso aperto il più temibile tabù dell’immaginario, nonché della realtà, maschile. In realtà non è solo questo, è ben altro. Non è solo il racconto di un’esperienza singola,”hic et nunc” individuata, è piuttosto una riflessione profonda e una ri-meditazione sul tempo di ognuno, sulla forza dei ricordi che avvincono tanto da inibire ogni slancio verso una nuova tappa dell’esistenza.
Il sapiente gioco di allusioni e rimandi fra i vari temi contenuti nel libro si palesa fin dal prologo, che fa da cornice narrativa (la voce narrante si presenta come colui che per esaudire il desiderio di un suo amico ne racconta la storia della malattia, con dovizia di particolari), ma che non inganna il lettore attento ed esperto, il quale già sa che troverà molto di più nelle pagine successive.
Un uomo (non importa quale sia di preciso la sua età) si trova all’improvviso, quasi per un imprevisto, a doversi pensare radicalmente cambiato, ad imparare a vivere e convivere con la mutilazione di una parte di sé considerata essenziale. In fondo, è un tiro mancino giocato dal tempo, dall’ineludibilità di un fatto nuovo che frantuma l’illusione dell’incedere lineare del nostro umano tempo per sbalzarci, sine cura, in una voragine anch’essa temporale ma dinanzi alla quale si vorrebbe solo fuggire, ma “noi e il tempo coincidiamo” ed “è una pura illusione credere di averne il controllo”.
I ricordi sono pietre d’inciampo, troppo pesanti per essere cancellati, non adatti ad essere ri-collocati in una nuova maschera. Sono le rughe del tempo, che vanno al di là dell’invecchiamento fisiologico, che rappresentano la frattura del “nuovo” che urta dolorosamente con ciò che è stato finora, ma “Non c’è niente da fare. Le rughe sono rughe.” perché “Noi siamo il tempo“.
Certo la scappatoia risolutrice dell’annullamento è sempre, o quasi, a portata di mano. Ben Jelloun cita ed interroga ad arte uomini e personaggi famosi della letteratura e del cinema che hanno ceduto alla catastrofe della perdita dandosi volutamente la morte, sospendendosi. Troviamo Cesare Pavese, Hemingway, i protagonisti dei film “Il bell’Antonio” e “Il sole sorgerà ancora”, il personaggio principale de “Il fantasma esce di scena” di Roth. Ma lo scrittore, sostituendosi con straordinaria maestria all’Io narrante, mostra di non volere cedere, di non voler uscire di scena.
Credo che questo sia il punto centrale dell’intero romanzo, quello che si concretizza nella forma-simbolo di Sherazade e con lei le “Mille e una notte“. La principessa araba assurge alla condizione paradigmatica di chi voglia cercare e trovare un senso nuovo per avere salva la vita. Forse non è una caso che si tratti di una donna, forse è una scelta meditata e voluta per indicare l’universalità di una condizione, di una scelta: “Una storia in cambio della vita”. Paradossalmente “se il manico del principe fosse stato sufficientemente rigido e performante da soddisfare sua moglie [….], se la verga del principe di Bagdad fosse stata tanto eccezionale quanto quella dello schiavo, il patrimonio mondiale della letteratura sarebbe stato privato di una delle sue opere maggiori“.
Nelle ultime pagine, Ben Jelloun non si limita a parlare di opere e autori famosi, riduce la distanza prossemica e va incontro a Borges, gli si siede accanto, gli parla, ben sapendo che lui, il lettore per antonomasia, è stato privato della vista da uno scarto improvviso sulla rotta del tempo. È cieco, vive in un mondo buio fatto di solitudine, ha perso ciò che per lui doveva essere essenziale eppure dalle sue parole i colori delle “Mille e una notte” vengono fuori intatti, vividi, percepiti in modo diverso; le parole danno la stessa vertigine. Ecco la svolta: “Nel giro di qualche minuto, ho dimenticato che i suoi occhi erano vuoti“. Pochi minuti per comprendere che anche la-vita-senza-qualcosa può essere ancora vita, diversamente vita.
Libro consigliato a:
– chi voglia leggere una storia di umana sofferenza; – lettori raffinati che credono nel potere catartico della lettura; – chi abbia sperimentato la perdita, la mancanza; – chi non crede che “togliere” voglia dire necessariamente “finire”.
L’ablazione, edito da Bompiani ad inizio del 2014, è disponibile per l’acquisto su Ibs a 12,75 euro.