Taccuino di un nemico di Mario Malini
1914-18 la Grande Guerra di un soldato ebreo del Kaiser
Il buon soldato Otto, l’onesto combattente, il volto pulito di un esercito che prima della disfatta militare, nel 1918, subì un’altra pesante sconfitta da un’infamante propaganda che dipingeva i militari del Kaiser come assassini sanguinari di inermi, anche donne e bambini. Nei primi giorni dell’agosto 1914, le truppe germaniche avevano violato la neutralità del Belgio, assalendo le piazzeforti per attraversarlo e irrompere dalle Fiandre verso Parigi, per attuare il piano Schlieffen e accerchiare da destra le armate francesi, attratte al centro con una ritirata strategica nei Vosgi. Anche i Paesi più lontani avevano considerato barbara l’aggressione ai neutrali. In più la stampa anglofrancese aveva calcato la mano sula severità dei tedeschi, che fucilavano sul campo i civili in possesso di armi. Si erano diffusi racconti, presunte testimonianze, stampe e disegni di popolazioni deportate, di uomini trucidati, donne stuprate, bimbi con le mani tagliate e gli immancabili neonati infilzati sulle baionette, che ricorrono in tutte le leggende metropolitane di guerra, secondo varie versioni, a scopi chiaramente propagandistici. Di Otto non si conosce il cognome, ma è certa l’appartenenza alla fanteria, l’impiego al fronte fin dai primi giorni del conflitto e la religione. Era un soldato ebreo, suddito leale dell’impero di Guglielmo II e soprattutto un bravo e coraggioso combattente. Il suo notes, con gli appunti dall’8 agosto 1914 all’11 novembre 1918, vergati in maniera ordinata, perfino elegante, raramente confusi e quasi illeggibili, è stato rinvenuto sul banco di un antiquario, a Fürth, in una cartella con foto e lettere. Da poco lo ha dato alle stampe Dario Malini (nel volume Mursia “Taccuino di un nemico”, 226 pagine), il fondatore dell’Associazione ‘Arte nella Grande Guerra’, che recupera testimonianze artistiche dei militari dell’epoca. Quattro anni in linea, per Otto, la guerra se l’è fatta per intero, non poche volte ferito e con più di un ricovero e qualche periodo di convalescenza. Il taccuino e le brevi note lo seguono dalle Fiandre alle campagne contro i russi in Polonia. Otto sarà anche in Italia, nel corso dell’offensiva austrogermanica di Caporetto, nell’ottobre-novembre 1917. Un fronte di tutto riposo per i tedeschi, dopo l’inferno delle trincee francesi e gli sconfinati spazi polacchi. Una passeggiata militare. Tre linee travolte in una mattinata, migliaia di prigionieri. Eppure c’è chi si batte, anche senza speranza, per ritardare l’avanzata. Otto rispetta gli italiani, non nutre complessi di superiorità militare. Disprezza gli austriaci, semmai, che considera meno validi del soldato tedesco: l’esercito austroungarico è disorganizzato, gli sembra di seconda serie. È anche ben consapevole delle disgrazie causate alla popolazione civile. Campi sconvolti, allevamenti saccheggiati, raccolti perduti. Sfollati in cenci vagano ubriachi e senza meta. Bimbi abbandonati piangono piano, annota. I rifornimenti restano indietro, nella corsa verso i fiumi italiani, quasi senza sparare un colpo. Si mangia depredando le case, strappando il poco cibo alle famiglie. Quello che non si può rubare, viene distrutto sul posto, senza scrupoli. Dispense devastate, botti sfondate, cantine allagate dal vino sprecato. C’est la guerre. Un piccolo rimorso istantaneo, solo un attimo e poi via, armi in spalla. Si fa avanti nel diario un altro aspetto forte: quello che rivela la discriminazione razziale nei confronti degli ebrei. Combattevano lealmente, con gli altri, ma in patria erano malvisti, trattati con sospetto. L’opinione pubblicata è istigata a temere una cospirazione sionista, gli ebrei starebbero sabotando lo sforzo bellico germanico. In un fitto scambio di lettere, Esther, la sua ragazza non gli nasconde la dura realtà per le famiglie di religione israelita. Nell’ottobre 1916, un’inchiesta ufficiale del governo tedesco accertò che nelle file germaniche erano già tremila gli ebrei caduti e più di settemila i decorati. Quei risultati, che confutavano i pregiudizi di scarso patriottismo, non vennero mai diffusi.
UGO MURSIA EDITORE
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