Edina Bozoky: Attila e gli Unni
Attila, “fratello” di Dio, diceva Abatantuono
“Attila, fratello di Dio”: solo la parodia del terrunciello Abatantuono, nel film trash di Castellano e Pipolo ha scalfito la terribile fama del re degli Unni, quintessenza del male. Ci si chiede, però, perché considerare gli Unni i barbari crudeli e invasori per antonomasia? Anche altri popoli hanno esercitato analoghe brutalità in altre spietate invasioni e i romani stessi non brillavano per mitezza, in guerra nè in pace (sport nazionale era l’arena: scannamenti dal vivo). Risponde alle curiosità Edina Bozoky, docente di storia medievale nell’Università di Poitiers, nel saggio per il Mulino “Attila e gli Unni”, 232 pagine. Sono la sintesi proverbiale della malvagità barbarica, un riconoscimento poco gratificante, che ha risparmiato i pur famigerati vandali di Genserico. La leggenda si è impadronita del capo e dei suoi guerrieri, trasformandoli in un concentrato di pregiudizi e fantasie. Le campagne, quella del 451 in Gallia e del 452 in Italia, sono state presentate nell’alto medioevo come punizioni divine dei peccati commessi dai cristiani. Una vera piaga biblica. L’ossessione del diverso, dell’altro, barbaro e crudele, si è sublimata nella figura di Attila, in una serie di leggende sempre più lontane dalla storia. Ancora oggi si continua a ricordare che “dove passava lui non cresceva più l’erba”. È associato alla peggiore devastazione, tanto che il suo nome è prestato a tagliaerba, diserbanti, decespugliatori. Lo stesso Abatantuono interpretava spiritosamente l’acrostico di ATTILA: “A come atrocità, doppia T come terremoto e traggedia, I come ir’ di Dio, L come laco ti sancue e A come adesso vengo e ti sfascio le corna!”. Il mito del cattivo assoluto per eccellenza risulta però circoscritto all’Europa cristiana. È stato alimentato da leggende, come il misterioso incontro con papa Leone. Mai chiarito cosa il pontefice abbia detto, minacciato o promesso per ottenere il dietrofront del condottiero assetato di sangue. Ci sono poi le agiografie di martiri redatte da Gregorio di Tours per arruolare nuovi santi, col ricorrente supplizio inferto dagli unni, sempre e proverbialmente crudeli oltre ogni limite. Per finire col martirio, palesemente improbabile, quantomeno nei numeri, delle undicimila vergini di Colonia, violentate e massacrate con Sant’Orsola, secondo voci risalenti al X secolo. Le religioni riformate sono invece molto più indulgenti. La rappresentazione di Attila e degli Unni è benevola in Germania. Secondo la tradizione locale, appare dapprima come un re ospitale e generoso, per diventare nella Canzone dei Nìbelunghi sempre più amichevole, anche se marginale, quasi scialbo. In Ungheria, è decisamente un eroe nazionale, circondato da un alone di gloria. L’idealizzazione, che data XIII secolo, si spiega innanzitutto con la ricerca di origini illustri. Per gli ungheresi, nuovi arrivati in Europa a fine 800 d.C., era impossibile sfruttare la leggenda delle discendenza dai Troiani che ha regalato origini nobili e rispettabili a svariati popoli. Secondo le cronache medioevali ungare, Unni e Magiari discenderebbero da antenati comuni, i fratelli Hunor e Magor. Attila è indicato come il predecessore e modello ideale dei re della dinastia e gli ungheresi come i naturali eredi degli Unni nel bacino danubiano. Ogni epoca, ogni paese si è costruito un Attila a propria immagine. Le varie raffigurazioni recano il segno degli ambienti sociali, dei diversi contesti politici e ideologici. Agli occhi degli autori ecclesiastici, gli Unni incarnano gli strumenti della vendetta divina. Per gli Scandinavi sono bravi guerrieri. Nella mitologia alamanna si comportano da cavalieri delle corti signorili. In Ungheria sono i gloriosi fondatori della nazione. Coprono un’ampia gamma di ruoli, dal popolo demoniaco agli antenati modello. “La verità o la realtà di Attila e degli unni, come ogni oggetto storico, si sottrae in gran parte alla nostra conoscenza”, conclude Edina Bozoky. È ungherese, laurea a Budapest (Università Eotvos Loránd) e specializzazione nel Centro di Studi Avanzati di civiltà medievale a Poitiers, in Francia. Nel suo saggio, ha inteso mettere in luce la verità storica, “per quanto possibile” e distinguerla dalla leggenda. Perchè, come afferma lo storico Amedee Thierry, “l’Attila della storia non è affatto quello della tradizione”, anche se entrambi “hanno bisogno di completarsi a vicenda o almeno di spiegarsi l’uno con l’altro”. Attila e gli unni. Verità e leggende è un libro pubblicato da Il Mulino nella collana Le vie della civiltà. SCONTO 15% € 18,70 su IBS.it.