Intervista a Fabio Baldassarri, autore del romanzo Le particelle di Dio
Ecco l’intervista di Fabio Baldassarri, autore del romanzo Le Particelle di Dio
Salve, le va di raccontarsi un po’ ai nostri lettori?
Sì, ma parlerò prevalentemente dell’attività di scrittore, anche se ne avrei ben altre da raccontare. Difatti ho lavorato nella industria e nella pubblica amministrazione. Ho ricoperto cariche elettive come sindaco di Piombino e presidente della provincia di Livorno. Ho operato per anni nel settore delle public utilities nella regione Toscana. Ma il primo amore, lo confesso, resta la scrittura… che non ho mai abbandonato: da corrispondente di provincia per un grande giornale (l’Unità), a biografo di uno dei più straordinari esponenti della Resistenza (Ilio Barontini), fino alle ultime prove di narratore. E poi sono stato un lettore onnivoro di storie altrui. Potrei dire che la mia vita è stata un viaggio dentro le storie che ho scritto e dentro le storie che altri hanno scritto.
Dal giornalismo al romanzo, due mondi così diversi?
Ma no! Non sono poi così diversi. Intanto perché in entrambi questi mondi correrebbe l’obbligo di scrivere bene, altrimenti si è cattivi giornalisti come si può essere cattivi scrittori. Poi perché a volte – l’ho messo anche nel prologo del libro ‘Le particelle di Dio’ – capita di leggere storie rispetto alle quali è lecito domandarsi cosa c’entrino modalità di lettura che sono tipiche più della cronaca che del romanzo… e può capitare persino di domandarsi cosa c’entri la storia con un genere che dovrebbe basarsi soprattutto sulla immaginazione… ma la riposta è chiara, se soltanto si conviene sul fatto che non di rado storia e cronaca coesistono e permettono al narratore di esporre gli avvenimenti non solo in termini di interpretazione, ma anche di immaginazione. Se poi ciò sia davvero utile e fecondo, è cosa che si può verificare solo caso per caso. Cioè leggendo.
Quanto c’è di autobiografico nel suo libro?
Tutto e nulla: tutto nel senso che ogni libro è autobiografico in quanto, alla fin fine, non può che essere frutto della tua esperienza e sensibilità personale, della tua cultura e persino dell’ambiente da cui provieni e in cui vivi o hai vissuto; nulla perché di tutto quello che direttamente o indirettamente ti riguarda o ti ha riguardato, sarà sempre una riedizione, una rielaborazione. Sono convinto, cioè, che anche quando un racconto è esplicitamente autobiografico, è raro che riesca a riprodurre i fatti per come ‘oggettivamente si sono svolti’ anziché come ‘soggettivamente li hai vissuti’. Si può cercare di essere verosimili – questo sì – ma può capitare di dover raccontare l’inverosimile e, se la verosimiglianza la si può abbastanza facilmente riscontrare, l’inverosimile può essere davvero di difficile digestione. Poi ci sono le coincidenze, le curiosità, il caso, le probabilità e, come dicevo poc’anzi, la potenza dell’immaginazione.
Come mai la scelta di intrecciare secoli e vicende apparentemente così lontane tra loro?
Forse se il papa o l’antipapa del Concilio di Costanza non si fosse chiamato Baldassarre Cossa, e a un mio antenato del castello della Sassetta non fosse stato assegnato come patronimico lo stesso nome di quell’illustre personaggio, non avrei mai scritto ‘Le particelle di Dio’. E forse non l’avrei scritto neppure – o non l’avrei scritto nello stesso modo – se un bel giorno non avessi messo piede nella antica abbazia dei Cossa di san Michele in Procida, o nel battistero in Firenze dove c’è il sarcofago dell’illustre procidano realizzato da Donatello. Ed è altrettanto vero che, se tutto questo non si fosse intrecciato con il fascino trasmessomi dal prof. Michele Ciliberto (con il suo ‘Il teatro della vita’) per Giordano Bruno, e le idee del Nolano non avessero trovato un certo riscontro nelle scoperte del filologo contemporaneo prof. Giovanni Semerano, con tutta probabilità avrei pensato e/o scritto altro. Però, non direi tutto il vero se non ammettessi che la scintilla da cui è partita ogni cosa la si deve al fatto che, alcuni anni fa, scoprii che Angelo Roncalli detto il ‘papa buono’, nel 1958 salì al soglio pontifico scegliendo lo stesso nominativo pontificale del vituperato papa o antipapa Baldassarre Cossa: Giovanni XXIII.
Ci parli un po’ del suo mondo letterario. Quali sono i suoi autori e libri preferiti.
Non è facile perché, l’ho già detto, sono stato un lettore onnivoro. A volte penso che se mi fosse mancato qualcosa da leggere mi sarei arrangiato con l’elenco del telefono. Non mi domandi perché. E’ sempre stato così. Non ho mai avuto bisogno di cercare una risposta in quanto, molto semplicemente, non credo abbia senso interrogarsi su quello che ti piace e di cui puoi godere illimitatamente senza fare del male a nessuno (c’è sempre una libreria o una biblioteca nei dintorni e, oggi, ci sono anche le piattaforme digitali). Credo che la mia stessa passione per la scrittura non derivi da altro che dal piacere per ciò che altri hanno scritto. In fondo vorrei imitare i tanti scrittori che hanno accompagnato la mia esistenza. Vuole dei nomi? Tutti gli scrittori che parlano di viaggi: da Salgari a Conrad, da Chatwin a Kerouac (memorabile l’incontro negli anni ’60 con ‘On the road’). Ma i primi libri di viaggio, per me, restano l’Iliade e la Divina Commedia perché da lì capisci che ogni libro può essere un viaggio: per le strade del mondo o per le strade dell’anima e, a volte, tutte e due le cose insieme. E del resto cos’altro è il bisogno quasi patologico di Simenon con cui attraversa le disgrazie delle vite altrui per strappare loro il velo dell’ordinarietà, o la cura con cui Proust torna sul passato per rendere percepibile il particolare mondo cui è appartenuto? Potrei fare altri nomi, naturalmente, ma forse basterà sapere qual è stata la mia lettura più recente. Ebbene: ieri sera ho chiuso l’ultima pagina de ‘Il corpo’ di Daniel Pennac con sincero appagamento. Ovviamente mi sono sempre occupato del corpo, delle sue potenzialità e dei suoi limiti, ma ora che con il crescere degli anni intuisco il ridursi delle potenzialità e l’accentuarsi dei limiti, il viaggio che Pennac impone al protagonista del libro nel tempo e nei meandri del suo stesso organismo, suggerisce con quanto distacco e ironia si possa affrontare l’unico viaggio, il più semplice ma anche il più faticoso, che dura tutta la vita : dovunque tu sia stato o tu sia, qualsiasi cosa tu abbia fatto o tu faccia, con chiunque tu sia stato o tu sia, che si sia trattato di una vita lunga o di una vita breve. Il tuo personale, inimitabile e irripetibile viaggio.