Intervista Renato Testa, autore de La Malafede Intervista Renato Testa, autore de La Malafede

Intervista Renato Testa, autore de La Malafede

Intervista Renato Testa, autore di La Malafede

Intervista Renato Testa, autore de La Malafede

Dopo la pubblicazione della recensione della sua opera La Malafede, ecco l’intervista esclusiva a Renato Testa.

Perché scegliere un tema così complesso e polemico come l’esistenza di Dio?

Perché è un tema decisivo per le scelte di vita di ogni individuo, molto più importante dello sport, della moda, del gossip… su cui pure si scrivono pagine e pagine, divertenti (nel senso di Pascal) ma piuttosto frivole. Scegliere di vivere come se Dio ci fosse oppure come se Dio non ci fosse significa dare due orientamenti molto diversi alla propria esistenza. Le credenze, le abitudini, i comportamenti dei credenti sono figli di tempi arcaici, di un pensiero primitivo ancora grossolanamente sviluppato, ma essi, plagiati fin dalla più tenera età, non se ne rendono conto.

Per farmi capire meglio, faccio un breve excursus storico. Per secoli gli uomini sono stati, per così dire, naturalmente credenti. Nell’età arcaica prevaleva infatti il concetto dogmatico della verità mitica. Il mito è un annuncio, una rivelazione la cui veridicità non è messa, né può essere messa, in discussione, perché proveniente da Dio e garantita dalla sua autorità. Profeti, oracoli, sacerdoti, aedi, poeti, maghi meritano fiducia perché, ispirati dalla divinità, sono i suoi portavoce. Perciò la verità mitica deve essere accolta come un dono prezioso e intangibile e deve essere creduta così com’è (ipse dixit).

Con la nascita della filosofia in Grecia, al mito subentra progressivamente il logos, cioè il discorso razionale, il quale fa consistere la verità nella dimostrazione argomentata di un problema attraverso il ragionamento, sostenuto dalla forza della logica e/o dei dati empirici, osservabili e controllabili da tutti. Ora è il discorso stesso, il logos appunto, con la sua solida costruzione logica, a garantire la verità, non già l’autorità di chi lo enuncia.

Col tempo queste acquisizioni del pensiero filosofico andarono in parte perdute. Esse si ripresentarono però con la nascita della scienza moderna, quando il criterio della verità divenne l’evidenza logico-empirica: le “sensate esperienze” e le “certe dimostrazioni” di Galileo Galilei.

Gesù aveva detto a Tommaso: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno”. Invece lo scienziato e l’uomo moderno si schiereranno dalla parte di Tommaso: se non vedo non credo. Non la fede, ma la verifica oggettiva e pubblica assume ora il ruolo fondamentale, imprescindibile nella determinazione della verità. Il resto è illusione e inganno.

Perciò Jean Meslier potrà scrivere nel Settecento: “Se coloro che affermano l’origine divina della propria religione non sono in grado di fornire prove e testimonianze chiare, sicure e convincenti, ciò dimostra in modo chiaro, sicuro e convincente, che nessuna religione è stata veramente istituita da Dio”. Con ciò tutte le religioni perdono credibilità e dignità nazionale: nessuna infatti è in grado di dimostrare in termini oggettivi e pubblici la propria verità.

Meslier scrive anche: “Il linguaggio di Dio deve essere degno di lui. Le cose sciocche e ridicole di cui è piena la Scrittura mostra chiaramente che essa è opera degli uomini”. Con ciò la presunta rivelazione divina contenuta nella Sacra Bibbia viene smascherata per quella che è: una truffa. Privata della “Parola di Dio”, rivelatasi parola miseramente umana, la Chiesa non ha più ragione di esistere, perché non ha più nulla di divino da annunciare agli uomini.

Naturalmente nel libro questi temi sono approfonditi ampiamente e con rigore, ma già da ora si può capire la mia posizione di fondo: la non esistenza di Dio è oggi una verità se non indiscutibile – tutte le affermazioni umane sono sempre in linea di principio discutibili – almeno, dal mio punto di vista, di un’evidenza solare.

Se ciò è vero – e ritorno al nocciolo della sua domanda – mi sembra moralmente doverono ed importantissimo, secondo un’etica della testimonianza della verità e della solidarietà umana, contribuire a liberare gli uomini da una visione mistificata della realtà, da falsità, sensi di colpa, superstizioni secolari, perché possano vivere un’esistenza più autentica, più serena e più felice.

Ritiene che il cristianesimo, all’interno dei culti monoteisti, abbia subito più degli altri la crisi dell’ateismo?

Non sono bene informato circa gli altri culti monoteisti, ma certamente in Occidente il cristianesimo ha subito pesantemente la crisi dell’ateismo, perché proprio in Europa, la culla che lo ha visto nascere e conquistare il predominio delle coscienze, si sono avuti la rivoluzione scientifica e l’Illuminismo che, contrapponendo il razionalismo al fideismo, hanno demolito le fondamenta della visione religiosa del mondo.

Dopo Spinoza, Hume, Voltaire, Meslier, D’Holbach, dopo il filose deista, dopo gli idealisti tedeschi, non c’è più campo, almeno tra i pensatori più eminenti, per il teismo, cioè per le religioni tradizionali cosiddette rivelate, quelle del Dio personale. Nell’Ottocento poi e nel Novecento i maggiori filosofi saranno dichiaratamente atei: Schopenhauer, il nostro Leopardi, Feuerbach, Marx, Comte (e in genere il Positivismo), Nietzsche, Freud, Dewey, Russell, Sartre… e tanti alti. Per non parlare della spallata data al creazionismo dalla teoria evoluzionistica di Darwin. Anche la maggior parte degli scienziati è molto scettica circa l’esistenza di un Dio personale. Tra le persone colte ed istruite l’ateismo è altamente diffuso. B. Russell ha osservato maliziosamente: “La stragrande maggioranza degli intellettuali non crede nella religione cristiana, ma in pubblico lo nasconde perché teme di perdere la sua fonte di reddito”. Nietzsche arriva a dire: “Oggi dobbiamo sapere che un teologo, un prete, un papa ad ogni frase che dice, non solo sbaglia, ma mente”.

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Al di là dell’ateismo teorico in Occidente dilaga l’ateismo pratico: il divorzio delle masse dalla morale cristiana è sotto gli occhi di tutti. Molti dicono di credere in Dio, ma poi vivono come se Dio non esistesse, testimoniando nel fatto la vacuità della loro fede. Le chiese si svuotano, le vocazioni diminuiscono, i fedeli non sono più fedeli: nell’Occidente il cristianesimo è decisamente in crisi.

Nella sconfinata bibliografia che sta a fondamento della sua opera, ci sono testi che l’hanno particolarmente ispirata o influenzata?

Oltre ai classici precedentemente citati, in particolare Leopardi nel periodo dell’adolescenza e Voltaire, Schopenhauer, Feuerbach, Nietzsche nel periodo della formazione universitaria, in tempi più recenti ho apprezzato gli scritti di Pepe Rodrìguez, Uta Ranke-Heinemann, Michel Onfray, Richard Dawkins, Bart D. Ehrman, Christopher Hitchens, Piergiorgio Odifreddi, Corrado Augias, nonché Vittorio Messori, come bersaglio polemico delle mie critiche.

Da tutti loro ho attinto qualcosa, ma i pilastri su cui si regge il mio lavoro sono la Bibbia di Gerusalemme, approvata nel testo e nel commento dalla Conferenza Episcopale Italiana, e il Catechismo della Chiesa Cattolica, redatto dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II, due testi autorevolissimi, anzi addirittura infallibili. Tali sono dichiarati espressamente dalla Chiesa con un’affermazione forte, rassicurante, ma molto impegnativa.

L’autore della Bibbia, si dice, è Dio, ed è impossibile che egli mentisca: Dio è la verità e in quanto tale non può né ingannarsi né ingannare. Ne deriva il dogma dell’inerranza biblica. Anche la Chiesa si accredita come infallibile in materia di fede e di morale. Tale l’ha voluta, afferma, Dio stesso: “Per mantenere la Chiesa nella purezza della fede trasmessa dagli Apostoli, Cristo, che è la Verità, ha voluto rendere la sua Chiesa partecipe della propria infallibilità” (Cat. 889).

È stato facile per me, e divertente, dimostrare la falsità di queste ambiziose pretese. Gli errori e gli orrori, le sciocchezze e le sconcezze, le falsità e le contraddizione che farciscono il cosiddetto Testo Sacro provano, al di là di ogni ragionevole dubbio, che esso non può essere “Parola di Dio” – sarebbe blasfemo –, ma opera di spregevoli impostori umani.

Allo stesso modo ho mostrato l’assurdità dei dogmi che il credente deve accettare per fede: il Dio uno, trino e commestibile, Gesù vero Dio e vero uomo, Dio che soffre, muore (!) e risorge, tutta la mariologia, il peccato originale, la transustanziazione… Si pensi solo alla “narrazione” su cui si fonda tutto il cristianesimo: un Dio che sacrifica sé stesso a sé stesso per ottenere da sé stesso il perdono del peccato originale. Gesù, il Salvatore, morendo sulla croce ha liberato l’uomo dal male, dal peccato, dalla morte. Dicono. Ma gli uomini continuano a soffrire, a peccare, a morire! Storiella decisamente insensata, che da sola dovrebbe ripugnare ad ogni mente razionale. Perciò ripeto con Nietzsche: essere cristiani oggi è indecente.

Considera ancora attuale il dibattito sull’esistenza di Dio, e perché? 

Dopo la critica kantiana le prove tradizionali dell’esistenza di Dio sono state dimostrate false e inconsistenti. In più per il Dio cristiano abbiamo un formidabile argomento che ne confuta l’esistenza, quello basato sulla constatazione del male nel mondo. Se Dio è infinitamente buono e onnipotente, perché esiste il male? Lascio la parola a San Tommaso d’Aquino, il doctor angelicus: “Se di due contrari uno è infinito, l’altro resta completamente distrutto. Ora, nel nome di Dio si intende affermato un bene infinito. Dunque, se Dio esistesse non dovrebbe esserci più il male. Viceversa nel mondo c’è il male. Dunque Dio non esiste”.

Ma perché insistere? Tutto il mio discorso dimostra che sul piano teorico il dibattito sull’esistenza di Dio, e in particolare del Dio cristiano, può dirsi virtualmente concluso. Ormai la confutazione del cristianesimo è stata compiuta abbondantemente in ambito teorico, storico ed etico. È imponente, maestosa. Rimane poco da aggiungere. Il problema attuale è quello della diffusione del pensiero non religioso.

I credenti si servono di strutture forti e autoritarie per plagiare la società: chiese, pulpiti, sinagoghe, moschee, tutti i mezzi di comunicazione e di educazione che invece mancano ai non credenti, ai quali vengono resi inaccessibili in tutti i modi. Occorre vincere la congiura del silenzio e della disinformazione. Occorre uscire dal ghetto, avere l’orgoglio dell’ateismo e il coraggio di professarlo apertamente. Di divulgarlo. Anche usando le armi dell’ironia, del sarcasmo e, perché no, del dileggio, giacché molti punti della dottrina cristiana, e in particolare cattolica, sono oggettivamente ridicoli (oltre che pericolosi). I “credini” s’adonteranno, pazienza. Per secoli hanno impunemente oltraggiato la ragione. Gli anziani magari, offesi, si chiuderanno in difesa – ma ormai la maggior parte di loro, plagiati fin dalla più tenera età, è irrecuperabile –; i giovani invece, più aperti, più critici, più istruiti, con una più vivace mentalità scientifica, potranno aprire gli occhi e sottrarsi dall’inganno religioso. E così i loro figli, educati in maniera liberale. Oggi non è più l’ateo che deve vergognarsi, ma il fideista.

La responsabilità di diffondere la concezione laica della vita ricade soprattutto sulle spalle degli intellettuali. Sarà una battagli lunga, difficile, faticosa ma alla quale, se è vero che la verità trionfa sempre, non potrà alla fine che arridere la vittoria. Il futuro del mondo è quello di un’umanità atea, liberata dell’impostura e dall’oppressione religiosa. Si spera.

Autore: Iacopo Bernardini

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1 Commento

  1. Ottima sintesi, condivisibile e ben motivata.

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