Dialoghi sull’Italia della Seconda Repubblica | Bibliotheca Albatros
Tre giovani si interrogano, vogliono capire i meccanismi profondi della politica. Ma alle loro domande non riescono, da soli, a trovare risposte piene. Così si rivolgono a eccellenti menti che da sempre studiano, analizzano e criticano ogni aspetto, legame e variabile dell’arte del governo. Gli stessi autori ben sintetizzano il dubbio: “Alle nostre domande opponiamo l’incertezza del dubbio. Allora proviamo a rispondere a noi stessi e tra di noi, auspicando che l’uno abbia meno confusione dell’altro”.
Nel libro discutono interrogandosi a vicenda, scrivono i loro pensieri e i loro interrogativi. Difficile arrivare a delle conclusioni, ma sicuramente danno un contributo a sé stessi e ai loro dubbi. Sperano solo di saper dare risposte convincenti, non solo agli altri quanto a loro stessi. Appartengono a una generazione che si è formata culturalmente nel Ventesimo secolo, studiando ideologie oggi superate. Le idee da cui partono sono quelle di un mondo che non c’è più, ma nonostante questo trovano, ora come pochi, la forza di guardare oltre, di sperimentare un nuovo pensiero.
La parte del libro che più scalda gli animi è quella incentrata sul significato della parola Libertà. Fabio, Domenico e Roger sciolgono ogni incertezza: perché la libertà si realizzi nel senso più pieno del termine bisogna uscire dalla logica dell’“io non me ne occupo”, perché se non saranno i giovani a occuparsi di politica, sarà la politica ad occuparsi di loro, nel modo che meno desideriamo. La convinzione comune è che tutti debbano dare il proprio contributo alla costruzione di una nazione sempre migliore nell’ambito dei diritti fondamentali di libertà, democrazia, giustizia, sicurezza e solidarietà.
Nella seconda parte, dove si disquisisce di Democrazia, c’è posto alla provocazione. Il voto come massima espressione della democrazia? Ma, anche nella Repubblica Popolare Cinese è previsto il voto, così come a suo tempo in Unione Sovietica. Idem nell’Italia pre-fascista e fascista. Si parlava di democrazia anche al tempo del Reform Act del 1832, nel Regno Unito, che stabilì il voto sulla base di criteri censitari. Può, forse, il cittadino esercitare direttamente il potere? Attraverso la democrazia diretta parrebbe di sì, ma è una strada praticabile? Il tema centrale è la pratica elettorale. Qual è il sistema elettorale migliore? Quali formule hanno fallito e sono quindi da accantonare definitivamente? Provano a dare una risposta analizzando i sistemi proporzionale, maggioritario e i sistemi misti, compresi quelli che storicamente si sono succeduti in Italia fino all’attuale. A essere intervistati sono Giovanni Guzzetta e Giovanni Sartori.
Nella terza e ultima parte, il percorso per il lettore si fa ancora più avvincente. Centro del dibattito questa volta è la parola Giustizia. Tutto ruota attorno al sistema giustizia, visto come non solo pessimamente organizzato e privo di fondi che ne consentano una razionale ed efficiente utilizzazione, ma guidato da norme processuali complicatissime ed obsolete, assolutamente prive di contatto con la realtà (gli atti giudiziari sono ancora oggi, per lo più, cartacei). Vien da sé che uno dei temi più incandescenti degli ultimi tempi, ossia le intercettazioni e le modalità di accesso ad esse sia rimasto privo di soluzione.
La lettura del volume dà un senso di profonda nostalgia – come scrive Antonio Martino nella postfazione – per il tempo andato. Nonostante l’antipolitica, il populismo dilagante di alcuni leader politici nostrani e l’incertezza generale, Dialoghi sull’Italia della Seconda Repubblica fa ritrovare la speranza di un futuro migliore e di una politica onesta ancora possibile e praticabile. La lettura lascia il “sapore” delle prime domande, rinnova l’emozione delle prime scoperte. Questo è merito della freschezza e della passione che, al di là delle risposte e delle proposte, connota il percorso di ricerca che viene esposto Fabio, Domenico e Roger.