Adriano VII di Frederick Rolfe
Profetica anticipazione dei totalitarismi del Ventesimo secolo, o forse l’opera di un impudente profanatore, prezioso compendio di un’esistenza eccentrica. Ripubblicato nel centenario della morte dell’autore, Adriano VII di Frederick Rolfe, edito da BEAT e disponibile su Feltrinelli.it a soli €12,66, rivela ancora una volta la sua sorprendente, sfrontata attualità.
“Una delle opere definitive della nostra epoca”, così è stato definito Adriano VII da D.H. Lawrence, e forse parte di questo successo è il risultato della sua natura autobiografica, per quanto può esserlo un racconto fantastico, che intreccia il capolavoro alla vita del singolare, leggendario Baron Corvo. Rolfe decise infatti di convertirsi al cattolicesimo nel 1886, coltivando l’ambizione di indossare l’abito talare, ma il soggiorno al Collegio scozzese di Roma si tradusse in nulla di fatto.
Come il suo autore anche George Arthur Rose è un prete mancato. Per motivi non ben precisati – invereconde calunnie, atroci oltraggi, secondo lui, di giovinetti immaturi – ha subito l’espulsione dal Saint Andrews, il Pontificio Collegio Scozzese di Roma. Nella Londra dei primi del Novecento Arthur Rose vive in povertà più assoluta, conducendo un’esistenza consumata da anni di speranze insoddisfatte, smarrito dinanzi alla rovina del mondo.
La cacciata dalla Chiesa cattolica, come fosse una spina, una peste, un’ulcera corrosiva e purulenta, gli ha offerto l’opportunità di una nuova vita, di un’inedita identità. Abbracciando di proposto la sua nefasta fama, si è messo a posare a genio altero, sottile, dotto, inaccessibile. Un’apparenza lontana dalla sua vera natura, quella di uomo attivo e possente, animato dalla divina Vocazione, ma ridotto a languire in bizzarre e stupide pose. Eppure un freddo giorno di marzo donerà a George Arthur Rose un trionfo tanto grande quanto inatteso. Al suo cospetto appariranno due gravi e importi uomini di Chiesa, un vescovo robusto coi capelli scuri, e un cardinale coi capelli bianchi e l’aspetto pittoresco.
Perché sono venuti a trovarlo? Lo omaggeranno come esperto conoscitore deli annali dei conclavi, gli diranno poi che il conclave in corso per eleggere il nuovo successore di Pietro è stato misteriosamente rinviato e gli chiederanno di accettare gli ordini sacri, senz’altro indugio che quello voluto dalle leggi canoniche.
L’opera della Provvidenza porterà sul soglio di Pietro proprio lui, George Arthur Rose, l’antico reietto, che prenderà il nome di Adriano VII e, più inflessibile di Bonifacio VIII, salverà l’Europa dal caos e dall’anarchia e ridisegnerà i confini del mondo.
Adriano VII e la critica
Oltre all’endorsement di Lawrence, che forse già basterebbe, anche la critica più recente ha dato risalto al valore di Adriano VII: «Ovviamente, il solo libro da leggere oggi è Adriano VII di Fr. Rolfe» (Daniel Mendelsohn); «George Arthur Rose… un santo e un guitto, un genialissimo attore tragico e un cialtrone. Non dimenticheremo mai la sua voce proterva, e blaterante, sfacciata, irriverente, capricciosa, smagliante di colori e di luci» (Pietro Citati).
«Anticipazioni storiche davvero acute; motivi di un orgoglio satanico; situazioni d’uno snobismo, d’un decadentismo putrefatto; dialoghi d’un incredibile assurdo: c’è un po’ d’ogni cosa. Non si perda l’occasione di leggere un tal libro, di cui tutto può dirsi, ma dopo aver premesso che nel suo genere esso non ha l’eguale» (Emilio Cecchi).