Educazione siberiana di Nicolai Lilin | Dal libro al cinema
«Per leggere questo libro bisogna prepararsi a dimenticare le categorie di bene e di male così come le percepiamo, lasciar perdere i sentimenti come li abbiamo costruiti dentro la nostra anima. Bisogna star lì: leggere e basta». Sono queste le parole che Roberto Saviano (prossimamente in libreria con il suo ZeroZeroZero ndr) utilizza per definire Educazione siberiana, il romanzo autobiografico di Nicolai Lilin intervistato dal giornalista napoletano nel 2009 per conto di La Repubblica.
Pubblicato da Einaudi, Educazione siberiana è oggi nuovamente alla ribalta grazie alla trasposizione cinematografica omonima di Gabriele Salvatores, successo al botteghino, che ha permesso al libro di scalare ancora una volta le vette delle classifiche dei titoli più venduti.
Lilin nel suo romanzo parla di un popolo che, ormai, non esiste più, gli Urka, una comunità di cui lui stesso fa parte, uno degli ultimi eredi di un codice da “criminale onesto”, una realtà sopraffatta dal comunismo e molto lontana dalla nostra, che affonda le radici nella terra di nessuno, la Transnistria. In Educazione siberiana l’autore ripercorre le tappe della sua infanzia ed adolescenza, raccontando un mondo feroce eppure intriso della sua personale morale, dove non esistono usurai e si uccide solo e soltanto in caso di necessità. Dove vige il rispetto per i disabili – i “Voluti da Dio” – e la divisione equa all’interno della comunità del bottino; un posto dove chi non ha voglia di lavorare o il coraggio per delinquere diventa uno sbirro.
Ed è proprio fra storie di galera, narrazioni quasi epiche di criminali e picca alla mano che si compie l’Educazione siberiana, i cui depositari sono gli anziani, i vecchi delinquenti che diventano una sorta di nonni adottivi i più giovani. «Nonno Kuzja non mi educava facendo lezioni, ma raccontando le sue storie e ascoltando le mie ragioni. Non parlava della vita dalla posizione di uno che la osserva dall’alto, ma da quella di un uomo che sta in piedi sulla terra e cerca di restarci il più a lungo possibile».
Ma la vita di un Urka non è completa senza quel complesso e ancestrale rituale del tatuarsi il corpo, una sorta di liturgia della vita che inizia a partire dai 12 anni e che raccoglie la storia personale ed interrelata di chi la indossa: la pelle come depositaria misteriosa del passato di ogni siberiano. E proprio ai tatuaggi Lilin ha dedicato il suo ultimo libro, Storie sulla pelle, sempre edito da Einaudi: «Armi e tatuaggi sono elementi di una tradizione. I disegni sulla pelle non sono un estetismo, ma una forma di comunicazione muta, primitiva, intrecciata alla biografia di una persona. E la figura del tatuatore può essere assimilata a quella di un sacerdote al quale ci si confida e che sceglie quali immagini dipingere e in quale parte del corpo collocarle» (intervista completa su Panorama.it).
Note sull’autore
Nicolai Lilin è nato in Transnistria nel 1980. Fino all’età di 18 anni ha vissuto in Siberia, per poi trasferirsi in Italia nel 2004. Nel 2009 scrive il suo primo libro – direttamente in italiano – Educazione siberiana edito da Einaudi e subito successo di critica e mediatico. A seguire scrive A caduta libera – ispirato alle sue esperienze come combattente sul fronte ceceno -, Il respiro nel buio e Storie sulla pelle.
Educazione siberiana è attualmente nelle sale cinematografiche per la regia di Gabriele Salvatores.