Bernardo Soares nella grande opera narrativa di Pessoa
Quando pensiamo a un racconto immaginiamo subito la trama, figure che la articolano e la forma che l’autore dà al contenuto. Raro è incontrare un racconto, che da raccontare ha tanto, ma che sembra prescindere dall’azione. Il Libro dell’inquietudine di Fernando Pessoa, edito da Feltrinelli e disponibile su Bol.it a soli € 6,80, è una narrazione di un mondo interiore, un’analisi che scava nella potenza dell’inconscio animatore di Bernardo Soares.
È un opera adatta a chi ha voglia di assumere, quanto meno nell’istante di lettore, una prospettiva tormentata, gonfia di angosce. Momento di scaturigine di un grande zibaldone che a tratti rapisce per la profondità delle osservazioni, dall’altra spiazza, perché non si lascia apprezzare in una formula organica. Il testo è una costellazione di stelle, sublimi ma frammentate in un quadro complessivo che sfugge.
“Ho fatto naufragio senza tempesta in un mare nel quale si tocca il fondo con i piedi”. Dell’esistenza di Soares cogliamo solo ciò che resta al netto dei propri fallimenti, una summa di illusioni disattese letta senza la retorica della vittima né quella dell’incompreso. C’è un abbandono delle difese che formano il guscio dell’ego per un dialogo, o per meglio dire, un insieme di monologhi, prodotti dalle sue interne identità contraddittorie. Che amplificano l’effetto di frammentazione: “ognuno di noi è più d’uno, è molti, è una prolissità di se stesso”.
Il Libro dell’inquietudine risente dell’assenza di una forma compiuta, sebbene Pessoa avesse abbozzato una selezione delle sue parti. Troverete però in nuce, in una veste a metà tra la speculazione esistenziale, la poesia e la prosa tipica di un diario, un alter ego taciturno e solitario, trincerato dietro ai vetri del suo appartamento, dell’autore.
Ciò che è esterno scorre come un dato estraneo, un binario parallelo al divenire dell’esistenza. Come ricorda lo stesso Bernardo Soares, le imposte della sua casa si possono aprire in due sensi, sul fuori e sul dentro. Ecco, è quel “dentro” a essere popolato, vitale, dotato di capacità di riflessione grandiose. Tanto grandi da schiacciare il loro padre. “Io allora vivrò in pace in una casetta alla periferia di qualcosa, godendomi una tranquillità in cui non dovrò fare il lavoro che comunque anche ora non faccio e cercando, per continuare il mio non fare niente, scuse diversa da quelle con le quali oggi evito il confronto con me stesso”.