Intervista a Marco Miele, autore de L’umore del caffè
L’umore del caffè è la sua prima opera, cosa l’ha spinta a battere la strada della scrittura?
Il piacere di comunicare, non solo un pensiero ma anche un modo di essere e di vita, il piacere di condividere. Sfruttare la scrittura per raccontare un po’ di se con la licenza di inventare.
Quali sono gli autori o le opere che l’hanno ispirata?
Sono un discreto appassionato di letteratura inglese Joseph Conrad in testa. Mi piace Ed Mc Bain e il suo modo di trattare i protagonisti. In Italia Niccolò Ammaniti e ovviamente Andrea Camilleri. Piergiorgio Odifreddi ha scritto gli ultimi libri che ho letto. Mi piace leggere perfetti sconosciuti che come si sono avventurati nello scrivere….a volte con risultati sorprendenti.
Che ruolo ha la Toscana, l’animo di questa terra, nella sua opera?
La Toscana è il protagonista silenzioso, l’humus che tiene insieme non solo le vicende ma le rende uniche e reali. I personaggi non potrebbero essere così non fossero toscani della maremma.
C’è un sottile riferimento ai delitti del cosiddetto “Mostro di Firenze”? Penso al personaggio “Mario Vanni”, alla morte all’aperto subita da dei giovani.
Il nome Mario Vanni è dato ad un personaggio estremamente positivo, la scelta del nome è volontariamente caduta su uno dei nomi e cognomi più comuni in Toscana. Non mi sembra ci sia alcun riferimento al “Mostro di Firenze” se non per la scelta delle vittime.
Perché ha scelto il giallo come genere d’esordio?
Il giallo è un genere che mi piace da sempre, anche se il piccolo intreccio di indagini e misteri che troviamo ne L’Umore del caffè, è un pretesto per raccontare anche della gente comune.
A quale lettore ha pensato durante la stesura del suo libro?
Non ho pensato ad un lettore “tipo”, …non l’avessi scritto mi sarebbe piaciuto leggerlo.