Il Castello di Kafka: impotenza e alienazione nella perdita del senso
Che cos’è la legge? E cosa rappresenta la burocrazia? A leggere Franz Kafka c’è sempre il rischio di ridurre un’opera così polisemica e ambigua in un banalizzato, piatto plot narrativo a cui segue, quasi sempre, qualche sorta di moralistica conclusione. Rischio ancora più insidioso in una tra le sue opere più importanti, Il castello, edito da Mondadori, disponibile su lafeltrinelli.it a € 6,80.
Protagonista è l‘agrimensore K che, giunto in un villaggio dominato dalla figura del Castello, tenterà in ogni modo di farsi ricevere dal conte, proprietario della struttura. Cosa ne impedisce la realizzazione? Da una parte una schiera di burocrati e funzionari, dall’altra diffidenza e ostilità degli abitanti del villaggio. Essendo uno dei capolavori del genio praghese, è facile ritrovarvi elementi afferenti alle tematiche carsiche del suo percorso letterario-filosofico. C’è indubbiamente un riflesso dell‘impotente frustrazione che prova l’uomo contemporaneo nella sua vita, che proviamo noi tutti nell’apparente banalità quotidiana.
Un uomo schiacciato dalla violenza degli apparati che, svincolati da ogni forma di responsabilità diretta, se non quella del mansionario, demandano a un terzo il mandato delle loro azioni, il significato dello stesso esistere. Questo, così evidente nella nostra società della tecnica, entra a far parte di una soggettività. E visto in prima persona, o meglio sentito, se ne assaporano quei particolari che inducono alla cupa parabola discendente dell’alienazione.
Sebbene il Castello aderisca all’immagine di un’entità superiore anelata quanto irraggiungibile, tanto positiva (come obiettivo) quanto negativa e opprimente (come risultato delle singole azioni), non possiamo dire lo stesso del conte che la abita. E qui si entra in uno dei tanti inciampi che fanno de Il Castello di Kafka un supremo capolavoro. A perdere di senso non è solo il reale del protagonista o degli altri personaggi ma la lettura stessa. Come quando K vede per la prima volta due aiutanti e dice loro: « Ma se siete i miei vecchi aiutanti dovete conoscere il mestiere». Come fanno a essere vecchie conoscenze e allo stesso tempo irriconoscibili?
È perduto il senso delle cose, l’identità si smarrisce come il nome dello stesso protagonista, ridotto a una sola lettera. Uomo vittima della sua opera? Probabilmente sì, ma non solo. Quello di Kafka è un uomo sospeso in un costante inciampo, quello della vita, da cui non sa sfuggire né è in grado di risolvere. Smarrito il significato resta il progressivo abbandono al divenire, trasportati contro ogni regola all’estinzione.