Intervista a Massimo Ghelardi, autore del romanzo “Il mercante armeno”
– Cosa ha significato, per lei, scrivere il suo primo romanzo, Il mercante armeno?
Scrivere un racconto è un’emozione. Si scrive per gli stessi motivi per i quali si riesce a trarre soddisfazione da ogni sfida faticosa. Concludendo la storia del Mercante armeno, che mi aveva accompagnato a lungo, il sentimento essenziale è stata la nostalgia; come se quei personaggi, che mi erano restati vicini per giorni e mesi, si stessero definitivamente allontanando dopo aver acquisito una vita propria, come il legno di Geppetto. Li avevo conosciuti bene, ne avevo carpito i segreti più nascosti e mi dispiaceva lasciarli andare. È stato un momento curioso.
– Quale è stata la sua fonte d’ispirazione?
La prima fonte di ispirazione è stata la curiosità. Livorno è stata, almeno per tre secoli, un crogiuolo di razze e di fedi religiose, ognuna delle quali ha costruito un proprio luogo di culto. Così è stato per gli ebrei, per i luterani, per i greci scismatici e per gli armeni. La chiesa degli armeni ha avuto il destino di essere completamente distrutta, fatta eccezione per la facciata, dalle bombe durante la seconda guerra mondiale. Questa facciata, che non dava più accesso a nulla, è stata un primo spunto di curiosità . Poi il romanzo si è sviluppato lungo più percorsi. Come ogni racconto di vita e di avventura, Il Mercante armeno, viene fuori, emerge, da un precipitato di suggestioni, idee, emozioni che, per qualche motivo, in un certo momento si solidificano in una storia, di cui si dipana il filo man mano che il racconto prende forma e cresce sulla carta prima che nella testa. Quasi che esistesse già e fosse, solamente, necessario andarlo a cercare da qualche parte di se stessi.
– Lei nel suo romanzo descrive la Livorno del 1600; vorrebbe parlarci della Livorno di oggi? Cosa rappresenta nella sua vita questa città?
Le città toscane, i comuni toscani, rappresentavano sin dal finire del medioevo una perfetta sintesi di civiltà sociale ed urbanistica e affondavano le proprie radici nell’età romana. Livorno, invece, venne inventata dai Medici solo sul finire del 1500 e popolata con genti delle più disparate provenienze. Una città, dunque, senza radici, anomala in Italia e, particolarmente, in Toscana. Questa peculiarità è diventata ed è rimasta, per lunghissimo tempo, un punto di forza di Livorno e dei livornesi. Si è venuta creando, nei secoli, una comunità ribalda e nello stesso tempo accogliente, irrispettosa e anarchica e nello stesso tempo generosa . Che cos’è restato, oggi, di tutto questo ? È un po’ difficile dirlo; l’omologazione complessiva dei modi di essere ha tolto molto, alla città e ai suoi abitanti, della loro originalità. Ma i livornesi conservano caratteristiche che li rendono, ancora oggi, riconoscibili e distinguibili dagli altri toscani. Per me, che vivo a Livorno ormai da trent’anni ma sono pisano, Livorno rappresenta l’informalità sostanziale dei rapporti umani e sociali , la disinvoltura del modo di vivere e la libertà del mare.
– In quale dei personaggi del romanzo è possibile trovare, se ce ne sono, caratteristiche del suo carattere, della sua personalità?
Penso che ogni personaggio porti traccia di qualcosa che appartiene all’autore della storia. Può far comodo, a volte, dissociare da sé alcune caratteristiche che ci piacciono di meno, attribuendole al protagonista, apparentemente, meno positivo della storia. È un po’ come voler prendere le distanze dalla parte più nascosta del proprio animo, ma, poi, in fin dei conti, tutti i personaggi si riconoscono nell’autore e questi in ciascun personaggio.
– Lei narra una storia in cui si mette in rilievo il coraggio, l’onore e l’impeto delle azioni; che significato attribuisce loro?
L’onore così come il coraggio e il senso del sacrificio sono sentimenti e valori che rappresentano la parte migliore di noi stessi. Valori senza tempo e senza “scadenza”. Anche oggi, nel mondo della banalizzazione e omologazione dei sentimenti e dei comportamenti, l’onore, il coraggio e il senso del sacrifico sono presenti nei cuori e nelle anime e aspettano l’occasione per emergere e dare un senso alla vita di tutti. Un romanzo di avventura che ponga questi sentimenti alla base della narrazione, può essere utile a ricordarne l’esistenza e a uscire, per un momento, da una letteratura che si limiti a guardare l’ombelico della propria intimità.