L’eredità di Iside – Politica e religione intrecciati nel romanzo d’esordio di Francesco Gioè
Un filone di moda con un libro che non vuole essere alla moda, un romanzo pulp d’avventura ed introspezione, che segue la scia di Dan Brown, pur mantenendo delle nette differenze. Se proprio dobbiamo classificare il romanzo, potremmo affermare che “L’eredità di Iside” di Francesco Gioè ( 7,99€ su la feltrinelli.it ), ha i toni di Ian Fleming, Clive Clusser e di altri romanzi contemporanei d’azione.
Ma non è solo questo.
In primo luogo bisogna rendere merito all’autore di aver costruito una storia avvincente, lunga ma non noiosa, i cui molteplici eventi ben intrecciati non sono mai troppo lontani da rischiare di essere confusi o dimenticati.
I personaggi sono costruiti in maniera interessante, sia nei loro punti deboli che in quelli forti; di particolare rilievo il carattere del protagonista con le sue strane paranoie verso il futuro che, nonostante appaia a volte onnisciente diventando io narrante, spesso si fa cogliere alla sprovvista, lasciandosi intimorire dai suoi stessi dubbi.
L’aspetto che più colpisce e che fa filare la trama in maniera fluida, è la conoscenza a 360° dell’autore su tanti e differenti temi. Si parte dall’Italia passando poi per Egitto, Svezia per finire nell’Africa nera, mescolando spiritualità e scienza, modifiche genetiche e paleografia celtica. Il tutto lasciato spiegare in maniera precisa dai vari personaggi , di modo che il lettore possa comprendere e relazionarsi al resto della storia.
L’autore riesce a mantenere alta l’attenzione anche negli excursus storici; ad esempio, si lascia andare ad una dettagliata descrizione dell’ “inchiostro nero usato sul tessuto gallico”, senza approssimazioni e senza rischiare di essere pedante o noioso, perchè perfettamente inserito nella storia.
Più che i singoli particolari tecnici, i nodi che legano le varie parti del libro sono piuttosto i sincretismi religiosi e profetici che i protagonisti individuano nelle varie parti del mondo.
Il fulcro del romanzo non è il protagonista, ma sicuramente è il personaggio che attrae di più l’attenzione. La vicenda infatti non ruota intorno a lui, che è spettatore-attore forzato delle missioni assegnategli. Su di lui l’autore scarica l’ironia e la volgarità che gli altri personaggi non desiderano, come se fosse sempre un escluso alla ricerca di attenzione. Inoltre i suoi voli pindarici e giochi di parole, frutto della scuola Bergonzoni, mantengono viva l’attenzione sul personaggio, anche quando rischieremmo di lasciarlo in secondo piano.
Questa tecnica permette di dare respiro al romanzo, in modo da non soffermarsi troppo nell’enciclopedismo dei vari personaggi, sui diversi cambi di scenario e di azione che potrebbero creare dei blocchi narrativi piuttosono noiosi.
In alcuni punti, si individuano chiari riferimenti ai classici o delle limpide parodie ai film d’ azione e spionaggio, come per i nomi in codice degli agenti.
A volte inoltre Gioè inscena delle vere riprese cinematografiche, da direttore di regia: “Questo luogo è un formicaio e sono le 13, l’ora di punta. Il discorso però è troppo lungo e la telecamera in grandangolo: occorre stringere l’inquadratura. E allora zumma, zumma, zumma, basta altrimenti facciamo un primo piano delle formiche vere, ecco, ferma: il cecchino di Tell Basta! (…) Adesso allarga, allarga e sposta l’inquadratura destra, così, ancora. Okay, eccolo, il quinto motociclista”.
L’ultimo appunto riguarda le relazioni religiose. Tutto verte su antiche profezie egizie su cui si accumulano citazioni bibliche, ma non solo. Per esempio in un passo si accenna alla Kundalini, l’energia dormiente di nome sanscrito – avvolta in “tre giri e mezzo” – e su cui, per esempio, Sahaja Yoga dona il risveglio.
“L’eredità di Iside” è un libro avvincente, ricco di spunti – tra cui molti link e note su nomi e avvenimenti estranei al lettore – su cui intrattenersi. La trama scorre bene e, per quanto il libro non sia corto, lo si legge con molto piacere. La pecca, se così si può dire, è che nel finale, per far quadrare bene le cose mancanti, Gioè tende a rendere la narrazione un po’ troppo spaccata, e alcuni passi non si capiscono bene, o non si relazionano perfettamente, ma nelle ultime pagine, alla fine, tutto è chiaro e limpido. Tranne forse per il protagonista: “C’è chi sostiene che è impossibile mentire a se stessi, ma attori e spie lo fanno in continuazione e il loro successo, anzi, dipende proprio dal saperlo fare bene”.