Filosofare è imparare a morire. Alla scuola di Harry Potter si apprende anche questo
Il mercato editoriale ha recentemente accolto l’ultimo volume di Laura Anna Macor, dottore di ricerca in Filosofia ed esperta dell’illuminismo tedesco, che in quello che sembra un divertissement, una sorta di svago dalle sue abituali occupazioni scientifiche affronta in maniera teoricamente serrata la fortunatissima saga di Harry Potter. Il sospetto di un’incursione in campo estraneo per motivi tutt’altro che intrinseci non può non venire. A ben vedere, però, esso viene fugato fin dall’introduzione, significativamente intitolata Non solo una moda.
Il tentativo di Macor non si pone infatti su un piano del tutto “fantasioso” (tanto per richiamare il genere letterario in cui abitualmente vengono fatti rientrare i romanzi della Rowling), ma presuppone un progetto culturale niente affatto banale. È del resto evidente il desiderio di archiviare come obsoleta l’opposizione (di indubbia matrice francofortese) tra cultura e prodotti di massa, che sembra rispondere a una specie di rivisitazione postideologica della principio della (re)distribuzione delle ricchezze, per cui chi ha successo non può pretendere anche al plauso della critica, e, di converso, chi ne risulti privo ha però tutto il diritto di ricevere il premio di consolazione della cultura. Ora, ammesso che non tutto ciò che paga ha un valore “alto”, non è neanche detto che per averlo sia necessario essere un flop. Questo, secondo Macor, è il caso della saga di Harry Potter, dotata di una filosoficità interna che la rende degna di una stringente analisi interpretativa. E con questo si arriva alla peculiarità del testo di Macor anche all’interno della “saggistica pop” (sempre in aumento).
Negli ultimi anni sono usciti molti saggi dedicati al valore filosofico, religioso e teologico di tutta la narrativa fantasy che dal libro è passata al film per attestarsi anche come prodotto di punta del merchandising. L’approccio è stato però o estrinseco o vittima di un vero e proprio scacco ermeneutico. Nel primo caso, si è andati alla ricerca delle ragioni di successi di proporzioni planetarie, individuandoli nei vuoti di un modello culturale caratterizzato da spersonalizzazione e materialismo; nell’altro, si è proceduto a una sorta di applicazione di filtri eruditi in possesso dell’interprete, ma non altrettanto perspicui al lettore né sufficientemente giustificati in relazione al testo che si intendeva invece nobilitare. Insomma, o analisi sociologiche sulla riscoperta del fantasy (e connesse polemiche con i gruppi religiosi più oltranzisti) o paragoni tra le saghe e la tradizione filosofica, nel tentativo di trovare quante più affinità possibili.
Macor non segue né l’una né l’altra strada. Propone invece un’analisi incalzante, dalla coerenza impressionante, quasi logica, del percorso del maghetto dagli occhiali circolari, dei suoi amici e dei suoi nemici. Si tratta a ben vedere della prima indagine che prende effettivamente sul serio la storia raccontata nei sette romanzi, perché non la rende mera occasione per parlare di altro, anche se di un “altro” assolutamente pertinente, ma la rende oggetto esclusivo del commento. Gli anglosassoni la chiamerebbero un close reading, cosa che essa effettivamente è. In 12 capitoli viene data la parola esclusivamente al testo, senza mai uscire dall’universo disegnato dalla Rowling, né chiamare in causa autorità filosofiche, religiose o culturali. L’interesse va solo alla complessa architettura della trama da cui emerge progressivamente il significato dell’intero racconto. E questo significato è filosofico quant’altri mai: “Filosofare è imparare a morire”, ma “chi insegnasse agli uomini a morire, insegnerebbe loro a vivere” (Montaigne, citato in esergo al volume).
Ora, anche senza tutte queste considerazioni teoriche, è probabile che gli appassionati non avranno difficoltà a trovare delle ragioni per addentrarsi in un libro su Harry Potter. Ma perché anche la restante fetta di lettori dovrebbe imbarcarsi in un’avventura apparentemente destinata a frustrare ogni sforzo di comprensione per carenza di “informazioni magiche”? Perché gli appassionati di filosofia dovrebbero scegliere proprio questo libro? La risposta è semplice: perché si capisce tutto lo stesso. Qualche nome, è vero, forse all’inizio non dirà niente, ma se ne verrà a capo in men che non si dica, ricevendone fra l’altro non poca soddisfazione. Si verifica infatti uno strano fenomeno, di primo acchito paradossale: la comprensione dei problemi affrontati consente al lettore non “addetto ai lavori” di veder nascere, per così dire, i personaggi, quasi disegnandoli in prima persona. Senza sapere tutti i dettagli della storia, se ne intravvede il significato e si lascia che sia questo a far scaturire i rapporti di forza narrati dalla Rowling. Insomma, la lettura diventa una sorta di esperienza creativa, che consente di conoscere veramente i personaggi pur non avendoli seguiti fin dal primo romanzo. Un’avventura entusiasmante, dove la letteratura (pop, di mercato, fantasy) diventa specchio fedele delle nostre paure ed esponendoci a molteplici soluzioni ci indica la strada.
Il volume è suggellato in quarta di copertina da un giudizio di Umberto Curi, esperto di cinema e filosofia nonché delle radicali modifiche che la mitologia del moderno sta subendo: “Un libro originale, affascinante e intenso, che si immerge nell’oscurità sulfurea delle pratiche magiche con rara finezza interpretativa. Un brillante esempio di filosofia e narrazione”.
Autore: Laura Anna Macor
Titolo: Filosofando con Harry Potter. Corpo a corpo con la morte
Editore: Mimesis
Collana: Il Caffè dei Filosofi
Pagine: 140
Prezzo: 14,00 euro
ISBN: 978-88-5750-721-7
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