Intervista a Stefano di Stasio autore di “Del seme più forte”, edizioni Lampi di Stampa 2011
Stefano di Stasio, che relazione c’è tra i molteplici mezzi con i quali guardi la realtà (la fotografia, la scienza, la scrittura)?
Buongiorno. Grazie per la puntualità della domanda, dal momento che “Del seme più forte” è una raccolta di racconti e fotografie tutte scattate da me. La relazione fra le modalità di osservazione e elaborazione dei fatti quotidiani, della realtà appunto, intesa come sfera di interazione, è essenzialmente il punto di vista dell’uomo caratterizzato dalla sua complessità e unicità. La separazione dei saperi è una aberrazione assoluta, sancita fra l’altro in epoca abbastanza recente nella storia dell’uomo. Ha meno di duecento anni, dopo il periodo dell’Illuminismo nell’Ottocento. Studiosi e filosofi dei tempi antichi, per esempio Ipazia di Alessandria, avevano una concezione del sapere senza confini rispetto al tipo di osservazione. Ipazia predisse le orbite ellittiche dei pianeti dodici secoli prima di Keplero. Ogni persona è un tutto, unico, irripetibile. Ciascuno di noi è capace di parlare diversi linguaggi, a volte senza averne nemmeno la consapevolezza. Ciascun tipo di indagine ha i suoi punti di forza e le sue debolezze. La fotografia è in grado di convogliare, fissandole in un istante, una quantità di informazioni enormi, molto più numerose di quante possiamo distinguerne a occhio nudo, specialmente riguardo al soggetto in relazione all’ambiente che lo circonda. La scrittura possiede la prerogativa di poter tessere una trama che non ha confini né spaziali né temporali. Di poter introdurre personaggi, descrivere emozioni, intrecciare dialoghi, di poter avvalersi di anticipazioni e regressioni, guardarsi avanti e poi di nuovo indietro. Per certi versi è l’esatto complementare dell’immagine che rappresenta un istante congelato nel tempo. L’approccio scientifico è scarno, sintetico e essenziale. Si basa sul metodo sperimentale, ciascuna conclusione deve partire da certe osservazione, seguire un protocollo corretto di sperimentazione e dimostrare certi risultati. Altre persone devono essere in grado di riprodurre gli stessi risultati partendo dalle stesse condizioni iniziali per ciascun
esperimento che aspiri ad essere validato. C’è ampio spazio per l’immaginazione ma solo nel senso di andare a cercare quelle condizioni, a volte non frequenti o comuni, nelle quali è possibile osservare un fenomeno. E la storia della scienza ci insegna che questo a volte succede per puro caso, come per la scoperta della fotografia appunto.
Che cosa intendi per “immagini di parole” ?
È un concetto che ho introdotto fin dal mio primo lavoro “Storie di uomini, donne e animali” anche quella una raccolta di racconti e fotografie del 2008. Quello che mi affascinava e volevo proporre come linguaggio, era una scrittura essenziale, non prolissa, che fosse in grado di comunicare al lettore le emozioni nello stesso modo diretto in cui una fotografia trasferisce all’osservatore una sensazione o una informazione “globale”. Quello che non possiamo né descrivere né trasferire facilmente a volte sono le nostre emozioni, proprio la parte irrazionale del nostro vissuto. Da un punto di vista un po’ cinico, siamo incapaci di descrivere il meglio e il peggio dell’essere umano. Sentimenti comuni, amore, odio, perfidia e generosità, tradotti nelle conversazioni della vita quotidiana, diventano ridicoli. Dei fantasmi, pantomime dell’assurdo che, purtroppo, a volte rovinano la vita.
Ho riproposto questa impostazione anche nel mio secondo lavoro “Del seme più forte” e nel mio blog in rete “Parole e fotografie” che rappresenta un laboratorio per lo sviluppo combinato dei due linguaggi.
Cosa soprattutto ti turba dell’incontrollabilità degli episodi della vita?
Direi che non sono turbato dalla realtà, anzi ne sono continuamente stimolato. Altrimenti non potrei osservarla con serenità. Se ti riferisci ai “devastanti episodi” a cui si accenna nella quarta di copertina di “Del seme più forte”, ho voluto sottolineare che nella quotidianità, a mio parere, abbiamo superato ogni limite di decenza. Le metodologie, l’informazione ricevuta e diffusa, le transazioni finanziarie da cui siamo quotidianamente vessati rappresentano un percorso in un immaginario museo degli orrori che rischia di “declassarci”, per usare una parola attuale, a una esistenza infame e infamante, di là da ogni possibile dignità e prospettiva. “Del seme più forte” è un libro che pone la questione della prospettiva in maniera discreta, non eclatante, cercando di far sorridere e di emozionare il lettore. Analizza la realtà, ne sottolinea le assurde iperboli, e dà uno sguardo di speranza ai nostri “compagni di viaggio”, gli animali e le piante, che nel corso di calamità e carestie susseguitesi nei secoli, hanno sviluppato un istinto di sopravvivenza molto più forte dell’uomo. E anche una maggiore dignità, intesa in senso lato.
È molto interessante la correlazione tra progetto di vita (negli animali, puro istinto di sopravvivenza) generazione della prole e futuro che raffiguri nei tuoi racconti. La possiamo considerare una chiave di lettura del tuo lavoro?
Coglie gli aspetti più eccezionali di quanto accade. Un po’ è quello che cerco di fare nei miei due libri “Del seme più forte” e “Storie di uomini, donne e animali”. Osservare la realtà senza fretta. Poi i valori, il coraggio e la generosità.
Non c’è nulla di più sgradevole che avere a che fare con una persona meschina. Infine, la capacità di reagire, di combattere l’ingiustizia. Questa, come è accennato nella dedica del libro, è un po’ tradizione di famiglia.
Il mio prossimo lavoro, la prossima raccolta di racconti che sto elaborando, è appunto dedicata alla capacità di reagire degli individui e delle masse di individui, per puro istinto di sopravvivenza, oltre che per non subire ingiustizia.
Quali sono le esperienze più interessanti legate ai tuoi reportage di viaggio?
Molti dei miei viaggi sono per lavoro. Non mi diverto a frequentare aeroporti, fare le fila e subire i controlli di sicurezza. Mi cascano sempre i pantaloni perché la cintura va passata al metal detector, e non so dove mettere le mille cose che porto in tasca senza far suonare l’allarme. In senso più lato direi che l’uomo è un viaggiatore tutti i giorni che ha la fortuna di vivere. Le esperienze che più mi hanno arricchito sono i paesaggi estremi. Il deserto, i laghi ghiacciati, il grande Nord, la taiga sconfinata. Quando ci mettiamo in relazione a questi ambienti scopriamo quanto siano inutili i libri di scuola. Per esempio la geografia andrebbe studiata in tutto un altro modo. Bisogna provare l’emozione di un piccolo uomo nello spazio sconfinato fatto di sabbia, ghiaccio, mare, foreste. Questo approccio è l’unico che, secondo me, è in grado di rivelare la giusta dimensione e collocazione delle centinaia di fastidiose e piccole scemenze che siamo costretti a fare ogni giorno.
Grazie delle vostre domande, alla prossima.