Intervista a Enrico Violet autore di “Schegge di Celeste” e “L’eco di radiosa”
“Schegge di Celeste” non è il tuo primo libro: quali storie ti piace scrivere e perché?
Quale, tra i personaggi, è il tuo preferito, quello in cui ti identifichi?
Scrivi per la tua generazione o per i giovani?
“Schegge di Celeste” racconta una storia che ritieni si possa verificare?
Quali sono le tue letture preferite? E i film che guardi più volentieri? E il tipo di musica che ascolti più spesso?
Leggendo il tuo libro “l’eco di radiosa”, si ha l’impressione di realtà: quanto c’è di vero in quello che hai narrato?
Molte cose. Ho lavorato io stesso nelle prime radio locali e ci tenevo a raccontare l’emozione “pionieristica” di quegli anni nel creare qualcosa di assolutamente nuovo. Fino a quel momento la radio era stata solo la RAI ed era impensabile poter diventare dei protagonisti dell’etere, seppur a livello locale. Per cui molti spunti di quei personaggi particolari che si incontrano nel libro, vengono dalla realtà. Comunque ci tengo anche a ringraziare Francesco Serio della Morgan Miller edizioni, che avendo vissuto anch’egli quell’epoca così affascinante, ha creduto in questo libro.
Cosa stanno a rappresentare i due protagonisti, Valentina e Diego?
Valentina rappresenta la persona che ce la fa nella vita, anche se poi tende a complicarsi le cose da sola, Diego invece, è l’idealista, quello che crede in quello che fa ma la fortuna non gli arride mai, è il prototipo dello speaker che ancora oggi vivacchia nelle piccole radio, convinto di svolgere una “missione”.
Sembra che una Valentina tu l’abbia realmente conosciuta. Da chi hai preso spunto per delineare la protagonista?
Valentina è un concentrato di molti personaggi femminili incontrati in oltre venticinque anni di radio a livello locale e nazionale, per questa ragione risulta alla fine essere un personaggio così complesso. I vizi, i difetti e le virtù sono proprie della classica “donna artista”e la rendono, secondo me, un personaggio credibile e che suscita empatia, al quale sono comunque molto affezionato.
Come vedi cambiata la radio di oggi rispetto a quelle in cui tu lavoravi?
Una volta la radio era un mezzo di lancio e scoperta dei talenti musicali. I disc jockey di allora facevano a gara nel cercare di scovare il personaggio da lanciare o la canzone che nessun altro metteva del disco di un artista conosciuto.La radio era molto vicina alla gente, ma aveva anche una funzione culturale e informativa che ora non ha più, visto che i grandi network, schiavi delle multinazionali del disco, sono costretti a programmare sempre la stessa musica e il messaggio informativo si perde nei meandri di un palinsesto sempre più uniformato. Se fate caso ora come ora, l’unico punto di contatto con il pubblico sono i cosiddetti sondaggi, si lancia un argomento e poi sono i commenti degli ascoltatori a fare il programma, una volta la radio dava intrattenimento ma anche informazione musicale, arricchiva l’ascoltatore grazie ai suoi contenuti, ora si tende solo a semplificare la comunicazione, costringendo l’ascoltatore a ridurre il suo intervento in argomenti semplici e, spesso, banali.
Corruzione, false promesse e compromessi: anche le prime radio private soffrivano veramente dei mali che hai descritto?
La radio non è diversa da molti altri ambienti lavorativi. I compromessi ci sono sempre stati, ad un certo livello, per cercare di poter emergere. Con il passare del tempo, il mezzo radiofonico ha sempre meno creato possibilità di carriera per merito ma più per conoscenze e appoggi. Il network ha annullato la possibilità del singolo di venir fuori solo grazie alle sue capacità. In passato comunque, anche la politica è entrata nel mezzo radiofonico e anche qui, come in altri ambiti, la raccomandazione è stata indispensabile per far carriera.
Qual’è stato il momento più importante, a tuo avviso, nel passaggio tra radio e televisione pubblica a quelle private?
Direi che i primissimi anni di affermazione dell’emittenza locale, cioè attorno agli anni 75-76, sono stati fondamentali. La gente comune poteva parlare dietro a un microfono e dire tutto ciò che voleva, un segnale importante di libertà nella comunicazione, in quegli anni terribili che erano stati definiti “anni di piombo”.
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