Simone Fancelli, parla della sua passione per la musica e la scrittura Simone Fancelli, parla della sua passione per la musica e la scrittura

Ingegnere, appassionato di fotografia e musica: conosciamo meglio Simone Fancelli autore de “La linea verde”

Ingegnere. Elettronico per di più. Quanto le è difficile convivere con questo stato?

Mi iscrissi a ingegneria perché lo aveva fatto mio fratello due anni prima di me, fu una scelta di orgoglio, non potevo essere meno di lui. Non scelsi per passione per l’ingegneria quindi, fu una questione di competizione, tuttavia con grande sorpresa scoprii di avere una particolare attitudine per la matematica (confermai i risultati del liceo scientifico, ma qui la matematica era a livelli più impegnativi). Soprattutto scoprii che se hai fantasia trovi affascinante qualsiasi cosa nella vita, possono diventare interessanti anche i transistor e le onde elettromagnetiche. Voglio dire che se la poesia è in te, non importa che la cerchi intorno a te, in ciò che fai o in ciò che vedi. Comunque in parte ha ragione, conosco molti ingegneri, mediamente propendono alla razionalità, mentre le emozioni in genere sono tutt’altro.

Al di là dell’ironia, cosa rappresenta l’arte per lei? Sembra infatti, molto attratto dall’arte nelle sue diverse forme: oltre alla passione per la scrittura, lei è un musicista ed allo stesso tempo ama la fotografia. Mi domandavo quanto questo possa essere in sintonia con la sua professione, che secondo un consolidato stereotipo poco sembra avere a che fare con la fantasia.

L’arte è un mezzo per materializzare le emozioni. Non è limitata dagli schemi, è libera da ogni pregiudizio, non deve imitare e non si può costruire come quando progettiamo qualcosa. La vera arte scaturisce dall’anima, imprime nel mondo alcune sensazioni, sia che si tratti di pittura, di fotografia, musica, poesia… Oserei dire che l’arte contraddistingue l’uomo da ciò che non è uomo.

In particolare, lei scrive, compone musica, ha un occhio attento per la fotografia; ha delle altre passioni non dichiarate? E soprattutto, cosa rappresentano queste per lei? Un mezzo per scappare dalla realtà o per coglierla meglio?

Di passioni ne ho, ma una mi ha accompagnato fin dai primi anni della vita: la musica. Ascoltavo un brano, che fosse la colonna sonora di un film, una pubblicità o un cartone animato, lo sentivo dentro di me e lo riproducevo a due mani sul pianoforte, quando ero poco più alto della tastiera. Non dico questo per vantarmi mi creda, cerco solo di farle capire quanto senta potente la musica dentro di me e quale fortuna abbia ereditato dai miei. Prima di decidere per il liceo scientifico, mio padre mi incitò a fare il conservatorio di musica. Sono convinto che avrei durato parecchio meno fatica che non diventare ingegnere, però oggi sono convinto di aver compiuto allora, con la testa di un ragazzino, la scelta giusta. Se una passione diventa lavoro non è più passione, è lavoro. Compongo musica moderna e la insegno ai miei figli. Ho un’altra passione, ma ha poco a che fare con l’arte: il tennis.

Parliamo del suo romanzo, che lei ha dichiarato di aver raccontato ai suoi figli a mò di feuilleton notturno, prima che si addormentassero. Ma poi, riusciva nel suo intento? Credo che se fossi stata sua figlia, non l’avrei liberato tanto facilmente, prima di farle confessare come sarebbe andata a finire.

Racconto storie ai miei figli fin da quando avevano pochi anni; da principio era facile, crescendo sono diventati esigenti: non vogliono niente di scontato! Qualche anno fa tornavamo dall’Irlanda in macchina, mentre guidavo iniziai a raccontare una storia per far passare i chilometri. Ricordo che osservavo le stelle mentre parlavo, quegli esili puntini bianchi mi suggerivano cosa dire. La fantasia sta lì, nel vedere la realtà e immaginare altro, sognare a occhi aperti. A me succede ogni tanto. Si trattò di un racconto di fantascienza, mi chiesero di scriverla, mentre loro si occuparono dei disegni; un bel lavoro nel complesso, da questo libro i miei figli hanno scoperto a soli sette e nove anni la teoria della relatività di Einstein e cosa significa viaggiare nell’universo. Vorrei che tutti i bambini avessero questa fortuna. Spero un giorno di pubblicare questo libro, sarebbe un magnifico regalo per i miei figli.

LEGGI ANCHE:  Intervista a Roberto Venturini - L'anno che a Roma fu due volte Natale

Il suo romanzo ha un impianto narrativo piuttosto atipico; quali sono state le sue fonti di ispirazione?

La linea verde non è chiaramente un libro di fantascienza, sebbene le prime pagine potrebbero farlo pensare, ha perfettamente ragione l’impianto narrativo è atipico. Vede oggi si fa musica secondo uno schema, corpo, ritornello, corpo, ritornello, ponte, corpo, ritornello, coda. I brani che ascoltiamo sono fatti nella stessa maniera da trenta anni a questa parte. Per i libri è lo stesso: prima di tutto si deve catalogare l’argomento, se appartiene a più generi è scomodo perché non si sa in quale scaffale collocarlo… A me piace la narrativa selvaggia, quella difficile da catalogare. Come dicevo troppi schemi fanno dell’arte un lavoro, e fortunatamente ho già un lavoro quindi posso permettermi di scrivere per pura passione e divertimento. Scrivo per i miei figli e per mia moglie soprattutto, pubblico perché non mi dispiace che alcune riflessioni escano dalle quattro mura di casa e arrivino più lontane possibile. La fonte di ispirazione del romanzo è un fatto di cronaca che qualche anno fa ha fatto discutere mezza Italia. Ho cercato di affrontare un tema delicato con un racconto “leggero”, che inviti però a soffermarsi con intelligenza su un argomento molto importante. Ho riflettuto su una categoria di persone che stanno tra la vita e la morte, ho scritto pensando a loro, e ho cercato di farlo paradossalmente allontanandomi il più possibile dalla realtà. Nessuno schema quindi, ho parlato di emozioni.

Spesso, quando mi sembra di cogliere la trama per un film mi piace chiedere all’autore di sognare e di scegliere regista, attori, e colonna sonora. Le piacerebbe chiudere gli occhi e dirmi cosa vede?

se dovessero farne un film! Non avrei dubbi sul regista, M. Night Shyamalan (per chi non sapesse di chi sto parlando lo invito a vedere che razza di sito web si è fatto, discutibile certo, però parecchio fuori dagli schemi). Per gli artisti proprio non ho idea perché i personaggi sono veramente particolari, a partire dalla protagonista, bella, giovane, rossa chioma e aria intelligente, se qualcuno riesce a trovarla… Per la colonna sonora, credo che sarebbe un onore se si assumesse il compito Jeremy Soule che ritengo un grande compositore americano, noto (purtroppo) unicamente per le colonne sonore di alcuni videogiochi. Trovo molto sentimento nelle sue composizioni, musica classica ben fatta dove vengono utilizzati quasi tutti i pezzi dell’orchestra. Oppure Hans Zimmer, bravissimo, o ancora senza però eccessivi sentimentalismi il buon Ennio Morricone. Mi chiede giustamente cosa vedrei chiudendo gli occhi: vedrei esattamente quello che ho scritto, perché le assicuro che prima di raccontare e scrivere la storia, ho vissuto quelle scene dentro la mia testa.

Quanti anni hanno adesso i suoi figli? Sono pronti per un altro racconto?

I miei figli hanno nove e undici anni. Penso proprio che presto racconterò loro qualcosa di nuovo.

Autore: Monica Pintozzi

Come controller, ho appreso che i numeri contano solo se li sai analizzare, come lettrice che le parole contano solo se le sai utilizzare. Maniaca del dettaglio, pretendo che il libro rispetti lettore e sintassi; ignoro volentieri testi pieni di parole e concessioni dal sapor di refuso. Il libro è regalo per me non per l’autore.

Condividi Questo Post Su

Invia un Commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *