Il suono sacro di Arjiam, il romanzo d’esordio di Daniela Lojarro
Cantante d’opera di fama internazionale, non stupisce la scelta di Daniela Lojarro di ambientare il suo primo romanzo in un mondo fantastico dove il Suono svolge il ruolo di Principio creatore dell’universo, “da cui tutto procede e a cui tutto ritorna”. Nel regno fantastico di Arjiam, esiste infatti un Ordine sapienziale, l’Uroburo, che pratica un particolare tipo di magia legato alla voce umana: l’Armonia. Intonando gli inni sacri, gli iniziati possono raggiungere uno stato di contemplazione, e venire così a contatto con alcune vibrazioni del Sacro Suono, che essi possono sfruttare per guarire ferite, alleviare sofferenze, avere visioni sul futuro o spostarsi nello spazio.
Per giungere ad accordarsi con queste vibrazioni, però, è necessario esercitarsi costantemente ad armonizzare tra loro mente, anima e corpo: solo così si può arrivare a svelare il Mistero della Conoscenza.
L’eroina del romanzo, la giovane Fahryon, è una neofita dell’Ordine dell’Uroburo che, dopo aver compreso e accettato il suo ruolo nelle vicende in cui si è trovata coinvolta, dovrà separarsi dai suoi compagni di viaggio, l’anziano saggio Tyrnahan ed il cavaliere Uszrany, l’ uomo che ama, per compiere un cammino evolutivo alla ricerca della sua armonia interiore, imparando a convivere con le sue paure ed i suoi errori. Una volta raggiunto quest’obiettivo, sarà pronta per lo scontro finale con il malvagio Mazdraan, per impedirgli di sostituire l’Armonia del Suono con il Caos senza Legge.
Un libro coinvolgente, dotato di una trama intrigante ed un ritmo che incalza. Grazie alle minuziose descrizioni di personaggi e paesaggi, che lasciano comunque il giusto spazio alla fantasia del lettore, Daniela Lojarro riesce a far proiettare virtualmente nella magica atmosfera di Arjiam chiunque legga il suo romanzo, senza alcuno sforzo. Sicuramente un’ottima base per un film di successo.
– C’è chi sostiene che nel campo letterario sia la poesia a formare il connubio perfetto con la musica. Lei, invece, ha scelto di parlare di musica utilizzando la forma prosastica: quali sono le ragioni che l’hanno spinta a compiere questa scelta, forse un po’ insolita?
Ho deciso di cimentarmi nella prosa perché, nonostante provenga da un ambito in cui la Poesia regna sovrana, questa forma d’espressione non mi appartiene. Ho sempre l’impressione che la Poesia porti a una personalizzazione che non mi sento in grado di gestire, almeno per ora. Inoltre, quando scrivo cerco sempre quella «Parola» che sia in grado di dischiudere, con il suo solo suono articolato nel silenzio nella nostra mente, un mondo di emozioni, di sogni, di riflessioni e, perché no, anche di dubbi. Cerco una «Parola » che scolpisca nettamente: posso dire che in ambito figurativo si potrebbe paragonare la Poesia a un delicato bassorilievo e la Prosa alla scultura.
– Qual è per lei il legame tra musica e scrittura, anche alla luce delle sue esperienze personali?
Al giorno d’oggi siamo abituati a dividere, suddividere e frazionare fino all’estremo lo scibile umano e a specializzarci solo in un settore limitato; ci dimentichiamo dei legami che, invece, uniscono e completano ambiti che a prima vista appaiono aver poco o nulla in comune come, in questo specifico caso, musica e scrittura. Infatti, se guardiamo con attenzione, al centro di entrambe troviamo il suono che poi è trascritto e riprodotto con due codici, questi sì, diversi. Se esaminiamo miti e speculazioni cosmogoniche di civiltà in ogni angolo del pianeta, vediamo che l’elemento vibratorio acustico, il Suono, è indicato come il sostrato di tutti i fenomeni dell’Universo. Nelle Upanishad, il testo sacro della tradizione vedica, si dice che all’inizio c’era il nulla poiché tutto era ravvolto nella morte e che questa, desiderando un corpo, si mise a cantare: dalla sillaba mistica nacque il Cosmo e dalle nozze del Suono con il Tempo scaturì la Musica. Quest’ultima immagine è per me bellissima ed estremamente significativa: non solo il canto della morte è l’atto creativo da cui si sprigiona la vita ma anche è l’atto che unisce indissolubilmente Musica e Parola.
– Quanto c’è di lei nei personaggi a cui ha dato vita nel suo romanzo?
Domanda difficilissima e insidiosa. Scrivendo mi sono identificata in tutti: è un’abitudine che viene dal lavoro in teatro. Per ogni frase o pensiero, ho sempre cercato di mettermi nei panni di quel personaggio e di farlo agire secondo la sua personalità e il fine che voleva raggiungere. In fondo, come diceva Cesare Pavese, «Scrivere è sempre nascondere qualche cosa in modo che poi venga scoperto».
– Se le proponessero di far diventare il suo libro un film, dove vorrebbe che fosse ambientato? E chi sceglierebbe per interpretare Fahryon, l’eroina del suo romanzo, e Tyrnahan, l’anziano Magh del Conclave?
L’ambientazione si presenta già definita nel libro perché ho scelto architetture e paesaggi che amo e che conosco molto bene cercando di proporre colori, stili di vita mediterranei. Individuerei perciò le «locations» del film nel sud della Spagna, per esempio Granada, in certe zone della Sicilia, penso al chiostro di Monreale, in Puglia, il Santuario è l’esatta trasposizione di Castel del Monte, in Cappadocia o Giordania, le città sotterranee, come Urgüp oppure i santuari rupestri di Petra. Tyrnahan, il Magh anziano del Conclave, sarebbe perfetto per un attore come Ben Kinsley; mi piacerebbe che il ruolo di Fahryon fosse interpretato da Penelope Cruiz mentre affiderei Mazdraan a John Malkovich.
– Scelga tre aggettivi con cui descrivere il suo libro e ci dica uno dei motivi per cui non potremmo mancare leggerlo.
Musicale, emozionante (d’altra parte, suscitare emozioni, è quello che cerco di fare anche con le mie interpretazioni musicali) e intrigante. Credo che sia un libro per tutti coloro che desiderano andare al di là della parola, oltre il velo … dove comincia il Suono!
– Cosa hanno detto le persone che lei conosce quando hanno saputo dell’uscita del suo primo romanzo?
Mio marito Andrea era felice e orgoglioso come dopo una recita trionfale. I miei genitori erano emozionati come se fossero diventati nonni. Il mio più caro amico, il regista Ulisse Santicchi, dopo essere stato martoriato con le varie fasi di editing, ha finalmente tirato un sospiro di sollievo all’idea di sapere come sarebbe andata a finire la storia; infatti, non gli avevo mai permesso di leggere le ultime pagine del libro!
– Mentre, scrivendo, faceva intonare ai suoi personaggi gli inni sacri, aveva in mente qualche sottofondo musicale in particolare? E nell’ipotetica trasposizione in film del suo libro, che scelta musicale compirebbe per accompagnare al meglio questi momenti di contemplazione?
Ho sempre pensato gli inni sacri come a delle fughe di Bach trascritte per voce oppure ai canti gregoriani o ai canti dervisci. Alcune pagine, per esempio l’esibizione di Fahryon al teatro di corte, sono state direttamente ispirate dalle celebri «Scene di pazzia» di opere che ho interpretato, come Lucia di Lammermoor o Anna Bolena di G. Donizetti o La Sonnambula di V. Bellini. Infine, per i capitoli degli scontri tra Fahryon e Mazdraan o tra Tyrnahan e Mazdraan il mio pensiero correva alla musica epica dell’Anello del Nibelungo di R. Wagner che, in fondo, è una sorta di fantasy in musica. Non nascondo che anche l’Hard Rock sia stata una fonte d’ispirazione (Nightwish, Stratovarius, Epica). Sarebbe stupendo se musicisti come H. Zimmer oppure Dong June Lee componessero la colonna musicale del film riuscendo magari a creare una sorta di sincretismo fra queste suggestioni.
– Sogni “musicali” nel cassetto?
Ci sono ancora un’infinità di ruoli che amerei interpretare: Tosca, Suor Angelica e Madama Butterfly di G. Puccini, Elisabetta nel Don Carlo di G. Verdi, Maria Stuarda di G. Donizetti. E perché non un concerto con Tarja Turunen o gli Epica?
Marta Bergese
Febbraio 1, 2010
Una cantante d’opera che scrive un romanzo? Il primo pensiero: oddio, cosa mai mi aspetta, conoscendo il quoziente culturale e d’intelligenza del cantante medio…
Però già dopo aver letto poche pagine mi sono dovuto ricredere: una scrittura in un italiano con la I majuscola. Una trama intrecciata su diversi livelli: racconto accattivante, pieno di colpi di scena e con dei personaggi ben scolpiti – e una parte più filosofica a antropologica con diversi riferimenti (nascosti) alle nuove teorie sul suono e sul canto.
A chi raccomando questo libro? A tutti gli amanti di un fantasy che va al dilà di qualche drago (anche qui c’è – però in veste molto complessa) e di cappa e spada. Questo libro crea un suo universo. L’autrice riesce a far risuonare la lingua – e i personaggi, con una profondità, una drammaticità e una bellezza da non temere il confronto con gli altri grandi del fantasy.