Vanessa, storia di una metamorfosi
Autore: Alessandra Di Gregorio
Editore: Edizioni Il Ciliegio
Vanessa, presa e persa per un uomo, esiste come entità binaria, metà reale e metà cibernetica. È la protagonista del romanzo e la narratrice di una storia intima e soffocante. L’Autrice ci guida alla scoperta del sesso liberandolo da mistificazione ed ipocrisia. Il suo un linguaggio nuovo, una gestualità verbale che risveglia i sensi, che rivela, attraverso un diario osceno e torrenziale, sogni, visioni e avvenimenti confinati nelle spire di una femminilità delicata e sommersa. Il lettore andrà incontro alla sublimazione percettiva attraverso la verbalità sensuale della protagonista.
All’apparenza solitaria e sconfitta, Vanessa userà se stessa per evitare il contagio del mondo, senza però riuscire a privarsi della luce fino in fondo. I racconti che si susseguono nel romanzo sfiorano la contemporaneità digitale, creando simmetrie e dissonanze consapevoli, stimolando la sfera sensuale e intellettiva, immergendoci in quella erotica e sentimentale di una protagonista proiettata in avanti da una ricerca di vitalità incessante.
Cominciamo col dire quello che questo romanzo non è. Non è un romanzo per anime pudibonde. Non è un romanzo pornografico. Ma come? Con tutte quelle descrizioni di sesso così crude… Vero: crude, però necessarie, come opposto di gratuite. Si gioca tutta qui, a pensarci bene, la demarcazione tra pornografia e narrazione erotica, per quanto spinto ed esplicito possa essere il linguaggio. Quindi un romanzo erotico? Sì e no: se il lettore cerca le atmosfere sognanti e surreali di Histoire d’O, o di Emmanuelle, più immaginate che reali, non le troverà. “Vanessa. Storia di una metamorfosi” è, sul côté sessuale, un libro molto concreto, assolutamente realistico. Il sesso c’è, eccome, con tutte le sue follie, i suoi tormenti, i suoi odori, le sue ossessioni. Ma non è tutto. In primo luogo perché il romanzo è una sorta di narrazione episodica da ritaglio di giornale; non c’è dentro tutta una vita, bensì scorci precisi. Un diario femminile claustrofobico, che segnala solo alcuni momenti campione della vita intellettuale ed emotiva della protagonista, in cui il tempo scorre con la scansione minima oraria ma senza altri riferimenti concretamente esportabili al di fuori delle sue stanze. Poi perché quello che fa di Vanessa una donna incasinata, profonda, torrida e al tempo stesso delicata ed essenziale, è proprio la sua ricerca di una femminilità estrema, spoglia di classificazioni, il più possibile onesta – ma spesso teneramente vile proprio verso di sé, per via dell’attrazione/repulsione esercitata dal mondo maschile che se da un lato lei ama, dall’altro critica e ripudia. Vanessa incarna una donna in rivolta. In primo luogo contro se stessa, negli anni della pubertà, poi contro la madre (le madri), poi contro la Società, poi contro gli uo-mini… Vanessa da ragazzina soffre dei cambiamenti che il naturale sviluppo biologico induce nel suo essere fisico. Pensa che certe sorprese che il suo corpo le riserva non le siano state adeguatamente spiegate. Il suo nuovo corpo non le piace, la imbarazza, fa fatica ad abituarcisi, come in fondo accade a tutte le adolescenti. E ne soffre, come soffre quando scopre, poco più avanti negli anni, il ruolo di fattrici che la Società sembra avere assegnato alle donne, senza offrire alternative “dignitose”. Poi arriva l’età degli amori. Esperienze più o meno incerte, pasticciate prima, e esperienze mature, complete, torrenziali e debordanti, dopo. Cosa c’è tra il prima e il dopo? Neanche a dirlo c’è Luca, il classico uomo giusto: tutto andava così bene con lui! Ma, come spesso accade, Luca si trasforma nel mitico amore perduto, per ritrovare il quale la nostra protagonista sembra disposta ad affrontare le prove più estreme, scoprendo, di ragionamento in ragionamento, che la questione identitaria non riguarda unicamente chi si sceglie di amare, quanto aspetti di sé solo all’apparenza sommersi. O forse, semplicemente, le affronta per punirsi di aver-lo perduto. Vanessa punisce tutti gli uomini che la desiderano, che la eccitano e ai quali può anche concedersi, ma non darsi. La seguiamo dunque di letto in letto, di riflessione in riflessione, di esperienza in esperienza: non si nega nulla. La seguiamo nei suoi ricordi e nelle dolorose introspezioni, che continuamente si punta alla tempia come un revolver dal quale potrebbe partire casualmente il col-po fatale. Alla fine, che romanzo avremo letto? Suggerisco sommessamente una risposta: un romanzo d’amore.
Carlo Giuseppe Alfiere
Agosto 24, 2009
I libri chiamano i libri, i libri migliori, gli altri portano solo al narcisismo di chi li ha scritti e annoiano. Leggendo Vanessa, seconda prova edita di Alessandra di Gregorio e suo primo romanzo, io sento una voce originale. La sento subito, dalle prime righe e questa voce mi accompagna fino all’ultimo capitolo, fino alla parola fine. Parlando con l’autrice di questo ottimo esordio, mi confessa che certi passaggi le hanno ricordato Una stanza tutta per sé, di Virginia Golfo, pur non avendo preso neppure lontanamente quel libro come modello. A me invece Vanessa ricorda la scrittura di Colette, limpida, appassionata e assolutamente priva di pietà. Anche la frase, questo suo avere sempre il centro nel periodo successivo e risultare quindi incalzante, pur nell’introspezione, pur nell’indagine. Ma Colette e Virginia Woolf non c’entrano. Facendo l’editore, mi arrivano molte prove di autori giovani e meno giovani. Li suddivido in due categorie, quelli che non hanno mai aperto un libro e che di conseguenza non sanno neanche coniugare i verbi, e quelli che hanno letto dei libri e che scrivono cose che sanno troppo di ciò che hanno letto. I primi sono ignoranti, i secondi sono emuli. Poi c’è una terza categoria di scrittori, estremamente rara, che ha una voce propria. In Vanessa, io posso sentire Colette, Alessandra avverte Virginia Woolf, un terzo lettore sentirà qualcosa di diverso, ma sono forze del passato che ritornano, non è copia, non è emulazione. E quando una forza del passato ritorna, non è per ripetere, ma per portare il nuovo sulla Terra. Questo lo sapeva bene Borges, fra gli altri, che diceva che da che mondo è mondo l’uomo si racconta sempre le solite cinque storie, l’assedio, il ritorno, la resurrezione, il parricidio e l’amore negato. Vanessa rientra nella terza categoria, è un libro che parla di resurrezione, della propria. Ma per risorgere bisogna prima scendere all’Inferno ed è quello che Alessandra fa. Circondata da alte mura di solitudine, Vanessa si è costruita un mondo autistico intorno a sé, una selva oscura, ma, come Dante, invece di commiserarsi decide di scendere il baratro, senza sconti per se stessa, senza infingimenti. E scende fino a ritrovar la luce proprio nell’ultimo capitolo, non una luce raggiunta, ma intravista, ancora lontana, non conquistata, ma possibile. Seguendo la metafora di Dante, alla fine del libro Vanessa/Alessandra si ritrova sulle spiagge del Purgatorio. Ha ancora molto viaggio davanti a sé, prima di vedere “l’amor che muove il Sole e l’altre stelle”, ma è questo che vogliamo da una scrittrice vera; non che abbia finito di cercare, ma che abbia ancora tanto da dire. Capitolo dopo capitolo, Vanessa scende nel suo personale inferno fatto di fantasie erotiche e di esperienze limite e si guarda in faccia, fa spietatamente i conti con se stessa. Che sorprende in questa scrittura è l’intelligenza, il cinismo verso se stessi, la ricerca di dati di fatto assolutamente inoppugnabili, l’assenza di ogni finzione, al fine di trovare il dato certo, la base, il terreno solido su cui costruire il proprio avvenire umano. Vanessa ha l’ansia della verità, si autodistrugge per trovare il nucleo, la ghianda di luce inscalfibile della propria verità. È come se sulla soglia della follia, Vanessa tentasse il tutto per tutto, la vita o la morte. Solo che è sorretta nella sua ricerca da una notevole intelligenza dei meccanismo dell’umano e da una tenuta argomentativa che non vedevo da tempo. Ecco perché non si perde, ecco perché, proprio all’ultimo capitolo, che arriva velocissimo, è un libro che ci fa rimanere incollati alla pagina, trova il senso del suo penare e la via di fuga, l’uscita, la spiaggia.
Leonardo Tonini, editore