La felicità domestica | Lev Tolstoj
La felicità domestica è un breve romanzo di L. N. Tolstoj scritto nel 1859. L’autore russo, noto per aver dato vita a uno dei colossi letterari più famosi di sempre, Guerra e Pace, è riuscito a descrivere una vera e propria fenomenologia dell’amore in poco più di 100 pagine, attraverso una storia che ne incarna pienamente le sembianze.
Quando si pensa all’Amore si ha sempre una grande confusione in testa. È un sentimento così libero e sfuggente che intrappolarlo nelle parole, o interrogarlo in prima persona, è una missione troppo ardua. Allora se il rischio è di semplificarlo, riducendole la sua forza contagiosa, si può provare a descriverlo per altre vie, magari passando sotto una lente d’ingrandimento una storia d’amore chiamata a fare i conti con i costumi dell’epoca, la seconda metà del 1800, l’incalzare del tempo, l’innocenza di una ragazzina troppo giovane e l’affetto sincero di un uomo.
L’amore non parla mai di sé
Mashechka, chiamata affettuosamente in tutto il romanzo con il nomignolo Masa, ha subìto la grave perdita della madre, un lutto che ha risvegliato in lei il dolore della già avvenuta morte del padre. Nonostante la casa sia ormai vuota, Masa trascorre le sue giornate dedicandosi al pianoforte, alla lettura e all’arte del nobile conversare, in particolar modo ragionando, nei momenti di ozio, attorno ai concetti universali di felicità e amore, emblemi di quella serenità che sembrerebbe esserle stata strappata via da un destino ingiusto.
Senza prevederlo, con il passare dei giorni riscopre un rinnovato sentimento per Sergej, un trentaseienne vecchio amico di famiglia. Un uomo rigoroso e severo che con il suo atteggiamento sempre controllato attira la curiosità della giovane ragazza, consigliandole di riappropriarsi della sua vita attraverso le stesse attività che portava avanti prima della morte della madre. Lentamente le frequenti visite di lui assumono un significato particolare, e diventano il momento preferito di Masa, impaziente di vederlo e di perdersi con Sergej in lunghi ragionamenti sulle grandi domande della vita.
È così che scoppia l’amore, tra un flusso ininterrotto di parole, tra discorsi evasivi, divagazioni universali, conversazioni portate avanti seduti davanti un pianoforte. L’amore nasce senza parlare d’amore, è nel rossore per uno sguardo un po’ più prolungato del solito, nelle mani che sbadatamente si intrecciano per suonare insieme, nell’attesa dell’appuntamento giornaliero in cui tutto ciò, finalmente, si ripeta. Sergej si innamora, Masa felice diventa sua sposa.
La diciassettenne sognante si riappropria della felicità, Sergej scopre di non essere troppo vecchio per sentire ancora “la migliore musica al mondo”.
La coppia felice così inizia una vita nuova. I primi mesi sono i più belli: entrambi coltivano con trasporto il proprio presente, costruiscono le abitudini di quella che ben presto diventerà a tutti gli effetti una famiglia…
“Mi sembrava che noi due insieme saremmo stati così infinitamente e tranquillamente felici. E non immaginavo viaggi all’estero, vita mondana, sfarzo, ma una vita completamente diversa, una tranquilla vita familiare in campagna, fatta di immutabile altruismo, di immutabile amore reciproco e della immutabile consapevolezza di un destino mite e provvidenziale”.
La sfida del tempo
Con il passare degli anni però quella differenza d’età unita al bisogno di stimoli diversi portano Masa e Sergej dinanzi alla consapevolezza di essere innamorati, sì, ma non del tutto disposti a sacrificare se stessi in nome di quell’antico sentimento. L’amore travolgente ma frettoloso li aveva resi forse un po’ ciechi, marinai inesperti di un’avventura che sarebbe durata una vita intera.
Subentrano le gelosie, le incomprensioni banali; Masa prova attrazione per alcuni uomini che incontra nel trasferimento dalla campagna a San Pietroburgo, si lascia tentare da una vita mondana costellata di feste e ricevimenti; Sergej la asseconda e accetta, amaramente, di assistere quasi da spettatore al declino lento di un amore che aveva creduto inscalfibile. Solo così Masa comprende di aver confuso la propria felicità con quella degli altri, di Sergej stesso, scambiando forse un sentimento di reciproco affetto e profonda stima per un qualcosa di ben più complesso, ben più maturo, e certamente precoce per una ragazzina diciassettenne. L’amore.
“Non avrei più compreso ciò che un tempo mi era parso chiaro e giusto: la felicità di vivere per gli altri.”
Ora che però Masa e Sergej hanno dei figli la consapevolezza di essere bloccati in una relazione ‘istituzionale’, nel silenzio di una delusione che fa fatica ad accettarsi, mina il loro equilibrio. Ci si può abbandonare al ritmo monotono della quotidianità, dimenticandosi di ciò che mantiene davvero in vita? Si può amare sempre allo stesso modo e con la stessa passione? Impossibile, certo, ma è davvero così che si misura l’amore? Perché Tolstoj, con una descrizione quasi cinematografica di due vite arenate nella loro riscoperta insoddisfazione, non vuole convincere del fallimento di un sentimento, non celebra la sconfitta di un amore trasformato in mera compassione. Tutt’altro.
Tolstoj parla di trasformazione, di un sentimento che inevitabilmente segue l’ombra dei cambiamenti umani adattandosi a questi, modera la passione che è chiamata a confrontarsi con la maturità. Sarebbe impensabile parlare di amore immaginando sempre un unico volto: è per questo che Masa e Sergej raggiungono insieme una conclusione giusta che non ha il retrogusto dell’amarezza, non parla di pietà; è una fine che cela, dopo una crisi tumultuosa, una rasserenante tranquillità, e la certezza di poter comunque continuare a guardare l’orizzonte insieme.
“Ma egli folle invoca le tempeste, quasi che nelle tempeste fosse pace.”
Un piccolo romanzo con un grande scrigno di insegnamenti.