L'inverno si era sbagliato | Louisa Young L'inverno si era sbagliato | Louisa Young

L’inverno si era sbagliato | Louisa Young

Louisa Young, londinese, discende da una famiglia di scrittori, scultori e poeti. Giornalista, scrive per The Guardian. Il suo primo romanzo, Baby Love, è stato candidato all’Orange Prize. L’inverno si era sbagliato ha subito conquistato  pubblico e critica in tutto il mondo; anche in Italia è stato molto apprezzato, tant’è che è stato pubblicato proprio quest’anno il seguito I giorni del ritorno, sempre da Garzanti.

Tre donne. Tre donne forti, che combattono contro il tempo, ognuna a suo modo, aspettando che i loro cari tornino dalla guerra, quella guerra che a detta di tutti sarebbe durata solo un inverno ma, come tutto sappiamo, non fu assolutamente così, dato che stiamo parlando della Prima Guerra Mondiale.

In realtà, la trama è leggermente fuorviante, in quanto le tre donne sono parzialmente in secondo piano rispetto alla storia narrata, ma legate tra loro da un unico filo conduttore, un unico personaggio che le incrocia nel suo percorso di vita, Riley Purefoy.

Egli, da bambino, ha la fortuna di diventare garzone di un pittore, qui conosce Nadine e se ne innamora. Un amore, però, contrastato dalla famiglia di lei perché il giovane è di ceto sociale inferiore. Pertanto, Riley decide di arruolarsi e partire per il fronte. Il suo superiore è il marito di Julia nonché cugino di Rose, Peter. Ferito al volto in maniera grave, Riley sarà proprio curato da Rose: tra i due nasce un rapporto di profonda amicizia che impedirà all’uomo di cedere alla depressione che un volto sfigurato e una lunga ricostruzione portano.

Tramite la figura di Riley, dunque, le tre donne, Nadine, Julia e Rose, si conosceranno e diventeranno amiche, benché profondamente diverse tra loro e caratterizzate da obiettivi e reazioni differenti: Nadine, per non sentire troppo la mancanza di Riley, deciderà di dedicarsi alla cura dei feriti, diventando infermiera; Rose, anche lei infermiera, ha da tempo rinunciato a un buon matrimonio e una famiglia tutta sua, per aiutare il prossimo, diventando il pilastro della sua stessa famiglia; Julia, la cui unica preoccupazione prima della guerra era curarsi della sua bellezza e della sua casa, atteggiamento inculcatale dalla madre fin da bambina, come la società richiedeva, appare una donna priva di talenti e debole di carattere, che non riesce neanche ad opporsi quando sua madre le porta via il figlio in fasce.

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Louisa Young in “L’inverno si era sbagliato” è stata bravissima a portare alla luce le profonde angosce e paure dei suoi personaggi, ma soprattutto a comunicarci attraverso essi cosa volesse dire essere uomo e donna prima, durante e dopo la guerra.

Essere donne in quel periodo significava essere costrette a vedere morire i propri cari, o a saperli dispersi, continuando a curare gli altri feriti, sperando che da qualche altra parte qualcuno stesse facendo lo stesso con le persone amate. Essere uomini significava uccidere e lottare contro il nemico, consapevoli che dall’altra parte i nemici erano uomini esattamente come loro, con la stessa paura, gli stessi sogni, ma soprattutto con a casa persone che li amavano e che pregando aspettavano che facessero ritorno sani e salvi.

 “Invece io so solo che un giorno ti svegli senza piangere e guardi negli occhi l’intollerabile e lo tolleri, pur continuando a provare compassione”

Con quest’opera la Young ci parla di storia, sì, ma non la storia che abbiamo studiato sui libri di scuola, bensì quella dei sentimenti e del lato umano, tuttavia restando perfettamente fedele ai fatti realmente accaduti. Una cosa che mi ha stupita e che ho apprezzato, perché veramente documentata in maniera minuziosa dall’autrice, è il suo modo di descrivere le ferite di guerra nonché le seguenti tecniche di ricostruzione con cui la chirurgia, che in quel periodo cominciava a muovere i suoi primi passi, si adattava all’esigenze dell’epoca. 

“Mi farà impazzire lo sforzo di tenermi aggrappato alla mia salute mentale”

Nonostante non sia di facile lettura, non a causa del linguaggio usato, che in realtà risulta essere scorrevole e facilmente comprensibile, ma per interi paragrafi in cui i dialoghi e i pensieri dei protagonisti, soprattutto di Riley, si fondono in un tutt’uno senza pause, tanto che a volte non sono riuscita a capire chi dicesse cosa e a chi, costringendomi a sospendere la lettura per tornare indietro e rileggere alcuni passaggi, mi sento di consigliare questo romanzo. Infatti, superata l’iniziale ritrosia, e soprattutto avendo capito la tecnica usata da Louisa Yung, la lettura si va via via facendo più facile. Lo consiglio a chi ama i libri a sfondo storico, ma anche a chi non lo ama particolarmente, perché offre un’occasione per non dimenticare e per fare in modo che non si ripeta mai più l’orrore della guerra. 

 “Nessuno vince mai una guerra, e le guerre non sono mai finite”

 

Autore: Elisabetta Salvaggio

Sono nata il 18 Agosto 1977 a Roma, dove vivo. Lavoro in un'agenzia di assicurazioni, ma la mia passione sono i libri, li amo da che ne ho memoria. I primi libri che ho letto sono stati: «Se questo è un uomo» di Primo Levi e «Il nome della Rosa» di Umberto Eco. La mia frase preferita: «I libri sono specchi: riflettono ciò che abbiamo dentro» (C. R. Zafon)

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