Il buio al crocevia | Elliot Ackerman
Quando si ha tra le mani Il Buio al Crocevia di Elliot Ackerman, il primo impatto è quello di un libro che nella sua semplicità ha una valanga di emozioni da trasmettere.
L’ultimo lavoro dell’autore, ex marine americano, è uno spaccato romanzato di una questione di grande attualità: la crisi del Medio Oriente, un tema spesso fonte di lunghi dibattiti politici e sociali che, direttamente o indirettamente, hanno interessato tutto il mondo occidentale.
Antep, al confine tra la Turchia e la Siria. Un iracheno di nome Haris Abadi decide, dopo essere emigrato in America in cerca di fortuna insieme alla sorella e dopo averla aiutata a costruirsi un futuro, di tornare nella sua terra e di arruolarsi per l’ESL (Esercito Siriano Libero). Sente, in cuor suo, dopo aver trascorso anni in America lontano dalla crisi siriana o, meglio, vivendola in maniera indiretta in qualità di interprete per l’esercito americano, il dovere di tornare nella sua terra e contribuire attivamente a una causa che egli ritiene giusta.
Nel tentativo di attraversare il confine siriano, fa la conoscenza di Amir e di sua moglie Daphne. Rifugiato che collabora con delle organizzazioni umanitarie il primo, infermiera nell’ospedale di zona la seconda.
Tutti e tre i protagonisti si troveranno faccia a faccia con i pericoli e le atrocità portate dalla guerra, spinti da motivi personali e intimi, entrando in contatto anche con i membri del Daesh (quello che in Occidente conosciamo come ISIS). Un percorso insidioso in cui non potranno fidarsi di nessuno.
Oggi, quando un autore sceglie di mettere sotto la sua lente di ingrandimento una questione delicata, quale la crisi del Medio Oriente, il rischio che il suo lavoro sfoci i confini del dibattito politico è alto. Partendo da questa considerazione, la prima cosa da dire su Il buio al crocevia è che esso, nonostante il tema spinoso, non ha nulla a che fare con la politica. Quello di Ackerman è un romanzo di guerra visto con gli occhi di chi, la guerra, l’ha subita e vissuta, come soldato e come civile, portandosi sulle spalle le sofferenze e le lacrime. Ogni pagina di questa opera, fatta di frasi e di periodi molto semplici e diretti, riporta ed espone la malinconia dei protagonisti.
Il carico di dolore che accompagna Haris, Amir e Daphne, e tutti coloro che incontreranno lungo il cammino, è palpabile in ogni frase, comportamento e azione. Si tratta di persone che, arrivate a un certo punto della loro vita, sentono di aver raschiato il fondo e di avere poco o nulla da perdere.
La guerra assume così i connotati di un marionettista che si diverte a muovere i fili dei suoi protagonisti, più di quanto si possa immaginare. Pur mantenendo tutte le sue caratteristiche più drammatiche, infatti, essa rappresenterà, di capitolo in capitolo, anche un’opportunità: la stessa guerra che ha determinato e distrutto le vite di Haris, Amir e Daphne, ha il potere di distruggere anche le campane di vetro in cui i si sono rinchiusi per non affrontare se stessi e le loro paure.
Trovare nella guerra questa sorta di paradosso positivo è difficile, eppure l’autore ci riesce, creando dei personaggi dotati di una profondissima caratterizzazione psicologica. La guerra è una casa per chi la combatte e motivo di distruzione per chi la subisce. Questo è il concetto chiave dell’intero romanzo che potremmo definire emozionante, bello, nonché una lettura da cui trarre un insegnamento profondo per sè stessi e gli altri.