Tiki-taka Budapest | Diego Mariottini
Corrono gli anni della Guerra fredda in Europa. Il continente è diviso in due grandi emisferi: quello sotto l’ascendente americano e quello d’influenza sovietica.
Il blocco sovietico copre e indirettamente controlla anche un Paese distante oltre millecinquecento chilometri da Mosca, un Paese di nove milioni di abitanti che in quegli anni, a dispetto della crisi economica e di una povertà diffusissima, sta vivendo uno straordinario sviluppo in ambito sportivo e in special modo nel calcio: è l’Ungheria.
È l’Ungheria dell’Aranycsapat, la Squadra d’oro.
Quella raccontata da Diego Mariottini nel saggio “Tiki-taka Budapest” è la storia di un collettivo irripetibile, una squadra dei sogni, anzi un sogno vero e proprio che, come nei più grandi drammi sportivi, cade in frantumi sul più bello, nel momento in cui c’è da scrivere a fuoco il proprio nome nella storia.
Nel libro edito da Bradipo libri, Diego Mariottini, giornalista pubblicista di origini romane, oltre che da sportivo, analizza le vicende calcistiche di quegli anni anche dal punto di vista politico e sociale.
Un Paese come l’Ungheria oppresso dalla dittatura e dalla fame, trovò negli uomini allenati da Gusztáv Sebes l’unica valvola di sfogo in una vita altrimenti invivibile.
La formidabile Nazionale di quella prima metà degli anni Cinquanta serviva al regime per far dimenticare a nove milioni di Ungheresi repressi la Állam Védelmi Hatóság (ÁVH), la terribile polizia segreta, la miseria, il grigiore di una vita senza prospettive, l’isolamento internazionale: per la popolazione magiara «godere dei trionfi dell’Aranycsapat, sembra l’unica maniera per non doversi vergognare di essere Ungheresi».
Lo scopo del Partito, che ascriveva al sistema comunista il successo di Puskás e compagni, era proprio di usare il calcio come mezzo per dimostrare al mondo la superiorità del comunismo sul capitalismo.
“Tiki-taka Budapest”, con la sua scrittura semplice e tutt’altro che asmatica, racconta le vicende anteriori e posteriori di quella domenica del 4 luglio 1954, giorno in cui non solo l’invincibile Nazionale ungherese cade contro la Germania Ovest in una delle finali dei Mondiali più incredibili della storia [3-2 in rimonta per i Tedeschi che riescono nell’impresa di piegare una formazione che non conosceva sconfitta da oltre quattro anni], ma anche giorno in cui un intero popolo si risveglia da un sogno, piombando a piè pari nella grama realtà, che vede crollare l’infallibilità del Partito.
Al Wankdorfstadion di Berna, quel 4 luglio 1954, sotto una battente pioggia si infrangono i sogni di un intero Paese, un popolo che fino a quel momento aveva curato con le vittorie della Squadra d’oro la sostanziale carestia della nazione; l’anestetico sociale del Partito finisce il suo effetto.
L’Aranycsapat si rivelò «la carta da parati dietro la quale si nascondeva la vita misera e senza prospettive di un intero popolo». Con il ritorno alla realtà, scaturì la contestazione. La rivoluzione dell’autunno del 1956, culminata nel sangue con l’ingresso delle truppe sovietiche nella Capitale, porterà a un nuovo corso per la popolazione magiara.
L’intento di Mariottini è quello di far vestire al lettore i panni di Zoltán, un ipotetico operaio di Buda, della casalinga Zsuzsanna, dei braccianti György e Rózsa, innamorati di quel collettivo meraviglioso fino alla gloria spezzata che riporta il popolo alla vita vera e a combattere per la propria libertà.
Il giornalista romano lascia anche un’analisi socio-politica dell’Ungheria odierna, molto cambiata rispetto a quella di qualche decennio fa con l’avvento dei nuovi movimenti estremisti di destra come Jobbik (Movimento per un’Ungheria migliore), idee che destano molta preoccupazione per il resto del Vecchio continente.
«Una volta i fili spinati i magiari li subivano. Ora li mettono e questo non è un bene».