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Istanbul Istanbul: moderno Decamerone tra dolore, tempo vita e sogno

istanbul-istanbul-d496Quando qualcosa è quotidianamente presente nel nostro vivere, lo diamo per scontato. Non per distrazione o snobismo, ma solo perché l’averlo acquisito da tempo attraverso altri ci consente di farlo nostro senza troppe domande, immutabile e imperdibile.

Tra questi “qualcosa” , trovano posto quei valori che sono propri della nostra società come la libertà, l’identità, il tempo, la vita e il sogno. Quando poi, ti capita tra le mani un libro come “Istanbul Istanbul”, edito da Nottetempo e scritto da Bürhan Sönmez , comprendi quanto il nostro vivere (certamente con problemi) sia da preservare e da difendere.

Riflessione un po’ aspra forse, ma non la sola che scaturisce dalla lettura della pagine di Sönmez che ci propone in modo delicato, ma innegabilmente immediato una Istanbul dalla doppia vita e dalle due facce: quella più classica ed ammiccante, dove la brezza del Bosforo invade leggera le viuzze che portano alla Torre Galata a Topkapi, e un’altra, meno nota da considerarsi quasi irreale, (ma che reale lo è davvero) fatta di ferro, quaratanove piccole celle, buio e torture, dove il dolore è l’unico metro temporale dei “suoi ospiti” e l’odore di muffa e sangue coagulato entra nella testa.

Una cella, quattro storie

In una di queste quarantanove celle in un lasso di giorni cadenzato da dieci racconti (all’apparenza singoli, ma collegati da un sottile filo rosso capace di dare linearità al tempo al dolore e alla vita) si ritrovano quattro dei cinque narratori un barbiere, Kamo, uno studente di nome Demirtay, Küheylan, il vecchio rivoluzionario e un Dottore, sostituitosi al figlio laureato in medicina e considerato dissidente, al momento della cattura.

In una cella separata, ma posta davanti alla loro, c’è invece una donna silenziosa, coraggiosa e sempre presente con la sua immutabile determinazione: Zinê Sevda.

Il loro trovarsi diversi, in un frangente della loro esistenza, che potrebbe a tutti gli effetti dividerli, li unisce spingendoli ad individuare un “motivo” forte che permetta loro di resistere affinchè il dolore e la disperazione non diventino dittatori di quel tempo che trascorrono nel buio della cella.

Inconsapevole e autonoma sorge la voglia di raccontare ma non il loro vissuto (poiché ciò li esporrebbe al pericolo durante la tortura); sarà Istanbul, l’inconsapevole città che li ospita, a fare da protagonista alle loro storie, a volte fiabesche a volte ironiche.

Raccontare per resistere

Il barbiere, lo studente, il vecchio rivoluzionario e il Dottore non sanno da quanto tempo sono in cella, ma i racconti potranno essere quella cadenza temporale di cui hanno bisogno per sopravvivere. Ricordi di ragazzi, storie divertenti, sentite mentre si sorseggiava un caffè , un the o un raki, racconti di sere d’inverno quando un padre o una madre attorno al fuoco si alternavano tracciando quella  “Istanbul” che li ignora.

La narrazione diventa speranza di vita in quella oscurità che li ospita, fatta di torture elettriche per confessare nomi e colpe che non conoscono, di bastonate sulla schiena che fanno perdere il respiro, di unghie strappate e di violenze corporali subite per denigrare ogni singolo anelito di dignità alberghi ancora nello spirito e nella carne. Il racconto e il raccontare divengono àncora di salvezza e speranza illusoria di poter tornare nella città al di là delle sbarre.

In dieci giorni i racconti scorgano dal cuore dei prigionieri in modo quasi involontario, la voglia di vita si fa dolce, tenace e graffiante e rimane forte la volontà di liberarsi dall’oscurità e da quell’odore penetrante fatto di formaggio rancido e acqua che sa di orina.

Un intreccio di memorie

Ed ecco che Kamo ripercorre le strade di Istanbul, dove ha conosciuto, amato e smarrito l’amata moglie e dove, anche se per poco tempo, l’aiutare una bambina a conoscere la bellezza della poesia turca gli ha fatto assaporare quella paternità desiderata ma mai avuta. Poi il Dottore apprende che il suo sostituirsi al figlio nella cattura ha dato la possibilità alla sua stirpe di proseguire. Infine Demitray che riscopre il valore di un povero focolare, ripensando alle parole semplici della madre, origine del suo amore per letteratura, la tradizione e la poesia: uniche armi in grado di dare libertà all’uomo per immaginare nuove realtà al fine di vivere in pace.

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Ma proprio quando la loro speranza di uscire da quella Istanbul buia sembra una chimera, ecco che appare una terrazza che dà sul Bosforo. Il profumo salmastro si fa reale. Una voce annuncia che tra breve anche Zinê Sevda li raggiungerà.

Nell’attesa tra un sorso di raki e un assaggio di olive e formaggio, il Dottore, Demitray, Kamo e Küheylan ammireranno il tramonto prima che la nebbia sorga leggera e confonda le fattezze del panorama. Sui loro volti non c’è più traccia di dolore e disperazione, ma solo la dolcezza della “risata gialla” che si fa sempre più ampia nel vedere Istanbul che lentamente si illumina al far della sera.

Da molti frammenti, un romanzo unico

Istanbul Istanbul è un romanzo diverso dove il racconto, apparentemente frammentato, si fa vivo e rintracciabile nella Turchia odierna.

In una chiave narrativa che richiama il Decamerone (apertamente citato) e i racconti de Le Mille e una notte, si riconosce la volontà dell’autore di non nascondere o edulcorare la sofferenza, i dubbi e la perdita di speranza dei protagonisti che, senza veli, affrontano il limite dell’uomo, che sia l’aguzzino o il prigioniero, e che può essere superato attraverso il sogno, unico mezzo per accettare l’imperfezione umana.

Inoltre la fluidità linguistica dà quel giusto grado di sublimazione, che permette ai singoli protagonisti di trovare la loro chiave di riscatto attraverso l’immaginazione, unico mezzo per accedere ad una realtà parallela priva di dolore. Questa scelta stilistica consente al lettore di scoprire e identificare i tasselli sparsi nei dieci racconti che compongono i personaggi, definendone gradualmente le dinamiche e le caratteristiche umane e personali e che solo all’ultimo capitolo (il decimo) saranno comprese appieno in in un equilibrio tra la Istanbul condivisa (durante la prigionia, ovvero la Istanbul nascosta) e quella privata (la vera Istanbul).

Istanbul, la poesia di una città dalle molte vite

Il rapporto ambiguo tra le due Istanbul madre e matrigna si anima, e supera i confini delle singole identità dei personaggi. Come afferma Kuheylan: “Istanbul muove le ali nel passato, le ferma nel presente e le prepara per il prossimo battito nel futuro” e potrà resistere ancora per molto alle ingiustizie e alle avversità nascoste e palesi che siano “poiché nata dalla terra e dal fuoco, dall’acqua e dal respiro, è resistente come l’acciaio e al contempo fragile come il vetro” e concederà all’uomo che l’attraversa due possibilità di sopravvivere che dalla morte e nella morte prendono vita: l’amore e la poesia. In entrambe risiede l’uccello del tempo che sorvola il dolore dell’uomo dandone una nuova bellezza fatta di dolcezza, intensità e infinita immaginazione.

Lo scandirne i versi, il narrarne le storie, il creare mondi paralleli permetterà così al prigioniero diventato uomo libero, di potersi rifugiare, vivere e abituarsi a una diversa e nuova realtà e, attraverso un “giallo riso”, rendersi palese alla distratta città dai tre nomi, posta ai margini del Bosforo, che potrà così comprenderne appieno le speranze, i dolori e i sogni.

Autore: Marzia Perini

Scrivere, leggere due aspetti palesi di un'unica passione: la letteratura. Alterno scrittura originale (racconti, poesie, resoconti letterari) a recensioni librarie. Completano il quadro personale altre due passioni più "movimentate" , ma che si intrecciano e completano le precedenti: la fotografia con mostre dedicate a Roma Bergamo e Venezia e i viaggi (solidali e non). Sono Accredited Press al festival di Pordenonelegge dal 2015.

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