L’altra riva del Bosforo | Révay Theresa
Turchia, novembre 1918, un bambino di sette anni è introvabile. La mamma, moglie del segretario appena trentacinquenne del sultano, è certa che sia scappato a vedere le navi da guerra dei vincitori, che hanno gettato l’ancora davanti alla doppia città divisa dal Corno d’Oro: la Istanbul di Pera e Galata e la Stamboul che si affaccia a sud sul Mar di Marmara. “L’altra riva del Bosforo”, edito nel 2015 da Beat (368 pagine, 15,90 euro), a firma della parigina Theresa Révay, riconosciuta come una delle migliori scrittrici di romanzi storici, è in quest’ampia categoria senza dubbio un prodotto apprezzabile, per l’eleganza della scrittura fluente.
Spicchi di Turchia
Non si può fare a meno di considerarlo comunque insolito, tanto per la località al centro del racconto che per l’incontro di due mondi che propone: Medio Oriente e Occidente. Non è un argomento al quale i romanzieri ci hanno abituati, è un tema davvero esotico e per questo ancora più interessante.
Eccezionale lo spaccato della società turca in rapida e controversa trasformazione, dopo secoli di immobilismo, accelerata dalla sconfitta nella prima guerra mondiale.
La rivoluzione dei Giovani Turchi e le guerre hanno ammorbidito le regole che penalizzavano soprattutto il comportamento delle donne.
Interessante il profilo che viene tracciato di Mustafà Kemal, l’Ataturk che ha impresso una svolta laica alla società ottomana postbellica.
Significativa la figura della giovane moglie e madre, Leyla, una ragazza evoluta, di famiglia a sua volta progressista, una donna moderna che si eleva sulla comunità turca, si scontra contro una mentalità arcaica, bloccata a difesa di un ruolo femminile subalterno contro il quale combatte: un mondo sorpassato, sconfitto dalla storia oltre che dai nemici occidentali e rappresentato al peggio dalla suocera, Gùlbahar transitata bambina dall’harem del sultano. Aveva nove anni, era una schiava circassa e veniva dalle montagne quando era stata consegnata al serraglio e vi era stata educata alle migliori maniere, come una geisha turca.
Non avendola scelta quale concubina, il padiscià le aveva trovato un buon partito, assicurandole un ottimo matrimonio con un dignitario, un pascià.
Leyla è molto preoccupata dall’allontanamento del bambino, certa che ad averlo attratto sia stata la vista delle navi da guerra alleate che coprivano letteralmente il mare e annunciavano la spartizione dei quartieri alle varie nazionalità occupanti: inglesi, francesi, italiani, perfino gli odiati greci.
Il marito, Selim Bey, non ha tempo per stare in pensiero. Il sultano lo ha fatto chiamare. A corte incontra il generale Kemal, aiutante di campo onorario, l’eroe di Gallipoli, l’unico comandante invitto. Viene dal niente, il padre era un modesto funzionario, poi commerciante di legname. Il giovane segretario lo trova un arrivista pieno di sé, ma non può fare a meno di apprezzare come si muova a suo agio nello Stato Maggiore nemico. Si comprende il timore del padiscià che potesse prendere il comando dei militari ribelli.
L’esercito turco è laico e gli ufficiali, ispirati dall’Illuminismo, leggono Voltaire e sono all’avanguardia del progresso e delle rivoluzioni.
Le evoluzioni di un Impero
Davanti alle migliaia di soldati stranieri in città, la gente è in apprensione, teme di subire le peggiori crudeltà. Tira una brutta aria, si paventa il peggio, ma arriveranno solo mortificazioni, con l’aggiunta di dover fare spazio agli occupanti. Le famiglie più ricche sono obbligate ad offrire alloggio agli ufficiali e famiglie.
A Selim e Leyla toccherà spartire la ricca casa con il capitano di fregata Louis Gardelle. Un uomo snello, asciutto. I capelli scuri sono ingrigiti alle tempie e nel tremito dissimulato delle mani, si nascondono le esperienze di guerra: il ponte che si inclina inesorabilmente sotto i piedi, le urla dei marinai che scivolano nell’acqua nera, le esplosioni, le fiamme, l’incubo del sommergibile tedesco invisibile nel buio.
Una vera sorpresa felice per i genitori è vedere arrivare il comandante francese con il piccolo Ahmet, raccolto davanti alla macchina, in mezzo alla folla.
A cominciare dall’arrivo delle flotte vincitrici nel Bosforo, il racconto copre nel complesso l’arco di cinque anni. È certamente narrativa storica e un romanzo di cambiamenti, di trasformazioni. Una storia innamorata del Corno d’Oro e dei tramonti sul Bosforo, oltre che una vicenda di amori, di passioni, che nascono da separazioni.
Al tramonto è anche un impero plurisecolare, quello ottomano: un regno al crepuscolo, scrive l’autrice.