Sotto un altro cielo|Storie di lotta contro la xenofobia
Il dramma dell’immigrazione in Sotto un altro cielo
Un bambino di tre anni addormentato sulla spiaggia, indossa maglietta rossa, pantaloncini corti blu, scarpine nuove. Ma non sta dormendo Aylan, a faccia in giù sulla sabbia. È dall’immagine del piccolo siriano, gettato dalle onde a Bodrum, che cominciano i racconti brevi e l’intera antologia “Sotto un altro cielo” (Laurana Editore, Milano, aprile 2016, 176 pagine 14 euro).
L’immigrazione, il dramma di questo inizio di millennio e della fine dell’altro, è il tema sul quale si soffermano, si interrogano, riflettono e fanno riflettere dieci autori, coordinati da Claudio Volpe.
Le voci degli Autori per svegliare le coscienze
Non è assopito Aylan Kurdi, il piccolo profugo da Kobane. Non sta sognando peluche e giocattoli.
Sembra un pezzo di tronco abbandonato, scrive Dacia Maraini, che firma il primo testo, pieno di sensibilità e al tempo stesso di rabbia. La protagonista, scossa da quella foto, nelle ore successive perde molto di quello che ha. È licenziata e al ritorno a casa scopre che il compagno l’ha abbandonata, dopo una relazione durata due anni, per andare in Scozia, dove mettere a frutto la propria Laurea. Ma la donna italiana non ha tempo per pensare ai suoi guai. Il suo cuore è occupato da un grumo di dolore per quel bimbo.
Sarebbe disumano – degno del suo datore di lavoro, che non prova compassione nemmeno per un bambino morto – ignorare i passaggi in cui Dacia sottolinea la crudeltà che sta dietro questa tragedia.
Ognuno di noi ha il dovere di ripudiare il cinismo con cui i trafficanti di uomini hanno il coraggio di abbandonare un gommone carico di gente, nelle mani del padre disperato di Aylan, con la minazzia di uccidere i suoi figli se dovesse rifiutarsi di prendere il timone. Assistiamo impotenti alla truffa criminale dei giubbotti di salvataggio venduti a parte a caro prezzo. Sono finti. Imbarcano acqua e non servono a nulla quando tutti finiscono in mare, al buio, poco distante dalla riva.
E cosa dire della “mostruosità burocratica” delle autorità canadesi, che hanno negato il visto alla famiglia Kurdi per incompletezza formale? E della solerzia del Presidente Erdogan, che si è affrettato a concedere in pompa magna la cittadinanza turca a un padre ormai disperato?
Anche il padre di Adil è annegato nel vano tentativo di raggiungere l’Italia ed ora il figlio – scrive Gianfranco Di Fiore, del Giffoni Film Festival – arranca senza futuro sopra una bicicletta scassata nella Piana del Sele, dietro al furgone del caporale che porta gli extracomunitari dalla fabbrica abbandonata dove dormono, alla serra dove lavorano.
Giampiero Rossi, giornalista del “Corriere della Sera”, ci porta in India, dove un giovane autista, convinto da una turista, si trasferisce clandestinamente nel nostro Paese per ritrovarsi poi a piangere ogni notte, costretto ad accettare il freddo e la necessità di coprirsi con maglioni e cappotti, ma soprattutto costretto ad abituarsi alla diffidenza diffusa.
L’abruzzese Renato Minore parla di un’altra fuga, in un’altra epoca, dalla Parigi invasa dai Tedeschi nel 1940. Il filosofo Walter Benjamin raggiunge il confine basco.
Le scarpe di Leonie, Congolese, spuntano sotto al plaid che hanno gettato sul suo corpo, sulla spiaggia di Pantelleria, nel racconto firmato dall’autrice televisiva Francesca Pansa.
Il successivo racconto è dell’assessore alle politiche sociali del Comune di Milano Pierfrancesco Majorino, “Il drago di Berat”, storia di un ammazzapidocchi Albanese.
Fotografie per raccontare
Dopo la proposta narrativa del giornalista torinese Simone Gambacorta, il catanese Claudio Volpe si avventura nel Califfato e conduce con mano ferma nell’inferno della vita delle donne, tanto le miliziane della Brigata Al-Khansaa che le giovanissime prigioniere yazide, schiave del sesso.
In pendice, i contributi dello scrittore Paolo Di Paolo (“L’ignoranza”) e della saggista e filosofa romana Maria Michela Marzano (“In che lingua lo ami?”).
“Sotto un altro cielo” si apre con una fotografia e si chiude con delle foto mai scattate. Sono quelle di cui si legge nell’ultima testimonianza scritta, di Alessandro Di Meo, foto-giornalista dell’ANSA tra i più premiati in Italia. Tre giorni in mare con l’equipaggio di una vedetta della Guardia di Finanza, impegnato nel difficile soccorso ai disperati nel Canale di Sicilia. Incontrano più vittime che superstiti.
Morte, sofferenza, è difficile farsi carico di tutto quel dolore, ma per fortuna ci sono anche 27 sopravvissuti e i gesti di affetto per gli sconosciuti salvatori e i sorrisi di sollievo e di riconoscenza. Così, tanti scatti sono rimasti solo negli occhi del fotografo. Certe foto mai scattate le porterò sempre con me. Quelle sono forse le mie migliori.