“L’arte di correre” di Haruki Murakami
“L’arte di correre” è un raffinato saggio autobiografico dell’autore giapponese Haruki Murakami che, oltre ad essere un maestro ineguagliabile di scrittura, nutre dall’età di trentatré anni una grande passione per l’attività della corsa.
L’esperienza accumulata nel corso della sua vita attraverso la partecipazione a maratone e gare di triathlon in diverse parti del mondo è la musa ispiratrice di pagine, fluide ma intense, sull’importanza (che a tratti sfocia in un bisogno vitale) di dedicare un impegno quotidiano a tutto ciò per cui nutriamo interesse.
Coltivare le fonti delle sensazioni positive nelle nostre giornate è una prima corsa verso il miglioramento di se stessi, una corsa che è metafora di vita e che richiede sacrificio. E per un abile marinaio perso in un “oceano pescoso” di parole, il primo paragone chiama all’appello l’esercizio della scrittura.
Esageriamo nell’amore
La passione ci chiama per nome, ci sceglie in silenzio e non possiamo rifiutarci di ascoltarla.
I risultati più soddisfacenti sono quelli che subentrano dopo esserci imposti un confronto diretto con i nostri limiti. Questi paletti insormontabili ci ricordano fino a che punto è concesso spingerci, ci ribadiscono che esiste una linea di confine netta oltre la quale è troppo rischioso avventurarsi.
Tuttavia, come ricorda Nietzsche, spesso accade che subito dopo quello slancio spontaneo nel vuoto con cui impariamo a camminare ognuno di noi non desideri altro che correre.
E allora un perverso meccanismo prende piede, quello di pianificare una strategia vincente con cui perfezionarsi, di aumentare le possibilità di sfida dei nostri ostacoli nell’unica grande battaglia che ci riguarda veramente: quella contro le paure. Probabilmente aveva questo in mente Murakami quando, nel 1983, decise per la prima volta di affrontare una gara di corsa e buttarsi a capofitto in uno sport che ha moltissimo in comune con quell’arte suprema di cui era già fedele discepolo, la scrittura.
“Per me scrivere consiste nell’arrampicarmi su monti impervi, scalare pareti rocciose e, al termine di una lotta accanita, giungere in vetta. Vincere o perdere contro me stesso: esistono soltanto queste due possibilità.”
Correre con disciplina, costanza, regolarità. Non c’è nulla di più esemplificativo per descrivere l’attività di uno scrittore che con la stessa cura deve affrontare un lavoro quotidiano di potenziamento del suo stile, della tecnica artistica che lo distingue. Quando si corre si sceglie la solitudine, ci si affida alla strada percorsa accettandone gli imprevisti, e il silenzio avvolgente o la musica sono i primi stimoli di meditazione sul vissuto che ci accompagna, proprio lo stesso effetto che scatena una pagina bianca. Prepararsi per una maratona, però, è cosa ben più complessa, così come lo è decidere di sedersi ad una scrivania e impugnare una penna per raccontare “qualcosa di serio” al mondo. Le due attività sembrano così somigliarsi e incastrarsi vicendevolmente nella vita dell’autore che sceglie con grande convinzione di assecondarle, “esagerando” nella loro cura: perché dev’essere questo il mantra per tutti coloro che amano, esagerare.
In una maratona accade esattamente quello che nella scrittura resta in un primo momento ben nascosto: se viene a mancare l’allenamento le gambe tremolanti tradiscono la corsa, i respiri si fanno insostenibilmente affannosi, la fatica diventa pungente e bisogna fermarsi. Allo stesso modo, quando si abbandona la penna nel cassetto al primo richiamo di creatività le parole si imbriglieranno da sole, torneranno indietro violente come boomerang perché non si è stati sufficientemente in grado di tenerle a bada.
Focalizzare i nervi su un punto, sollevarsi nell’orizzonte della fantasia per mantenere un equilibrio tra tutti i fili di una trama non è poi così banale; e questa fatica è il vero trampolino di lancio per comprendere in che modo riuscire a superare i nostri limiti. Allo stesso modo l’esercizio fisico ci dirà sino a che punto sfidare noi stessi per trasformare i chilometri in dieci, quaranta, cento.
L’arte di correre e i suoi moniti
Un grandissimo insegnamento, questo. Il talento è nella maggior parte dei casi, soprattutto nei campi artistici, una qualità imprescindibile. Tuttavia, più che definirlo necessario è bene riconoscere come sia un’ottima condizione preliminare, perché “senza carburante anche l’automobile più bella non va avanti”. La perseveranza nell’esercizio e la capacità di concentrazione sono gli unici strumenti con cui elevare il talento ad arte, è tutta lì la differenza. Contare di vincere in eterno, di tagliare sempre per primi il traguardo di una maratona o di incontrare il totale consenso dei lettori è impensabile; sicuramente, però, il banco dell’insuccesso è la postazione da cui ricevere la più grande lezione di vita poiché significa che in un modo o nell’altro abbiamo deciso di provarci, di non cedere alla paura di perdere.
Un saggio sintetico e delicato ma dall’eco infinita.
Aprile 9, 2016
Complimenti! Articolo bellissimo, ricco di spunti e di approfondimenti accoglie e al tempo stesso crea l’urgenza dell’acquisto del libro tra descrizione e appropriate citazioni.
Grazie. Ti hai scritto qualcosa? 😉 hai una scrittura avvincente.
Aprile 9, 2016
Ciao Alessandra! 🙂 Grazie a te per il commento! Sono contenta che la recensione ti abbia colpita. 🙂
Per quanto riguarda me non ho ancora scritto nulla di personale ma chissà, magari ci proverò. 😉