“Amica della mia giovinezza” di Alice Munro
Difficile individuare il confine tra prosa e poesia nei testi di Alice Munro. Ancora più difficile, se ci concentriamo sul suo Amica della mia giovinezza, ristampato da Einaudi nel 2015. Impossibile, se cerchiamo di rintracciarlo nell’estratto del libro che ho scelto di riportare.
“Fiorivano i lillà, le sere si allungavano, tornavano gli uccelli a fare il nido; mia madre, al centro dell’attenzione generale, sbocciava, preparandosi all’avventura deliziosa e solenne del matrimonio”.
Si tratta di una metafora potentissima: la madre che sboccia, come un fiore, come la natura a primavera, in previsione della stagione più bella della sua vita. Ed è solo uno dei tanti passaggi meritevoli di considerazione presenti nell’ultima opera dell’autrice canadese; momenti egualmente emozionanti si susseguono in ogni pagina del libro.
Un’antologia di storie
Amica della mia giovinezza non è una storia. È, piuttosto, una vera e propria antologia di storie, le quali poste una dopo l’altra danno vita ad un vero e proprio mosaico; ne viene fuori un affresco sul complesso mondo che ci circonda, facendo ricorso a una narrazione delicata, fragile, quasi effimera, che ci permette di introdurci in questo mondo. D’altronde, si tratta di una narrazione al femminile, in cui ogni singola parola trasuda femminilità.
Femminili sono anche i personaggi principali dei racconti della Munro. Dalla stramba Maria, prostituta che anziché farsi pagare, è lei a pagare i suoi clienti; alla poetessa Almeda, “una discreta massaia con una predilezione, piuttosto diffusa tra le zitelle, per dolci con la glassa e tartine fantasiosamente decorate”; o, ancora, le due sorelle Bugs e Averill, che affrontano insieme un lungo viaggio prima di separarsi per sempre.
Ma soprattutto c’è la storia di Flora, con cui la Munro dà il via ai racconti delle donne che abitano la sua raccolta; Flora, donna dalla tempra forte e coraggiosa, è l’amica della giovinezza di sua madre, a cui Alice Munro dedica la propria opera, con un accorato “in memoria di mia madre”.
Alice Munro e il peso specifico aureo della sua scrittura
L’ultima opera della Munro si configura come un esercizio di stile più che come un’opera di senso compiuto. Non ha una trama, non segue le vicende di un unico personaggio, non ha né un inizio né una fine. Perché leggerlo allora? Perché questi racconti sono delle brevi parentesi letterarie, in cui ritroviamo una maestria narrativa senza eguali e una serie di insegnamenti da assimilare per farne tesoro.
Non è un caso che la scrittrice canadese abbia vinto il premio Nobel per la letteratura nel 2013. E in realtà Amica della mia giovinezza non è stato scritto dopo l’assegnazione del premio più ambito, ma risale al 1990, per aggiungersi ad altre dodici raccolte di racconti che la Munro ha scritto nel corso degli anni.
È in questo esserci sempre tutto il bagaglio della vita, in ogni battuta di dialogo, in ogni sofisticata opzione sintattica, che si costruisce ogni volta il peso specifico aureo della scrittura di Alice Munro
Parola di Susanna Basso, traduttrice italiana di Amica della mia giovinezza.
Una recensione nella recensione che conferma, se ancora ve ne fosse l’esigenza, il genio di questa scrittrice e la validità delle sue opere.