“Il bel tempo di Tripoli” di Angelo Angelastro
Ore di registrazioni negli anni Ottanta sono diventate oggi un libro, una storia-romanzo: “Il bel tempo di Tripoli”, edito da e/o, 240 pagine 16 euro.
Dopo una cima, sempre un’altra. E rocce, picchi, macigni, strade che prima non c’erano, perchè andavano tutte costruite, su pareti scoscese e cantieri impossibili, . Un inferno di pietra, caldo di giorno, freddo di notte, arido quasi sempre, alluvionato nella stagione delle piogge. Eccolo l’Impero – pomposamente proclamato dal Duce il 9 maggio 1936 – nella memoria di un testimone in camicia nera che non può essere certo accusato di antifascismo.
L’avvocato Filippo Salerno ha raccontato senza reticenze a un giovane giornalista barese, Angelo Angelastro, la sua avventura coloniale, che poi è quella del nostro Paese durante il fascismo. Un documento di prima mano proposto come una vicenda narrata in prima persona: Salerno era il capo ufficio stampa della Milizia Volontaria Nazionale, partito per l’Africa Orientale come ufficiale del contingente che affiancava il Regio Esercito, coi gladietti al posto delle stellette, l’orbace nero e i gradi che evocavano le legioni romane. Un’armata di partito, tutt’altro che amata e molto invidiata, perché i militari ritenevano i legionari i meglio pagati e considerati dal regime. A torto, però: a quanto dice l’avvocato, perché il trattamento non era poi tanto diverso da quello riservato alle truppe regolari in grigioverde, seppur riconosca che il compenso per l’arruolamento aveva attratto lui e i contadini meridionali volontari del 256° della Milizia, il Battaglione Lucano.
C’era avversione e rivalità, dunque, tanto che si dovette ricorrere a un falso storico, per far incassare un successo all’Esercito. Era stata infatti una colonna di salmerie della Milizia a raggiungere per prima Adua. Inconsapevolmente. Vi era entrata per caso, nel lento trasporto di viveri e munizioni in appoggio alla divisione Gavinana, alla quale era riservato invece l’onore di “liberare” il pianoro storico e “lavare l’onta” della sconfitta coloniale del 1896.
Il capomanipolo Tosi, responsabile dell’inaccettabile sorpasso, venne addirittura sottoposto agli arresti, mentre alla stampa si volle fornire la notizia dell’eroico ingresso delle armate nel simbolico sito, opportunamente amplificata dalla retorica tronfia dell’epoca.
Quanto alla località della vecchia battaglia, che delusione: un banale ammasso di catapecchie, disordinate e poverissime, senza alcun segno distintivo, a parte il tucul del governatore Ras Sejun. È solo il primo dei fatti non politicamente corretti ai quali l’avvocato Filippo assistette e dei quali rende conto postumo, con la collaborazione di Angelastro. Da ridere la boria dell’Aviazione, ma non per chi dovette assaggiarne i “confetti”. Vanto del fascismo e padrona incontrastata dei cieli etiopi, sbagliava bersaglio per eccesso di entusiasmo, colpendo di frequente i propri reparti a contatto col nemico. Amando sfrecciare a volo radente sui combattenti e far la barba agli alberi a bassissima quota, esponeva i connazionali a un fuoco amico poco gradito. E a proposito di bombe dall’alto, c’è poco da nascondere sulla disonorevole diffusione di iprite e fosgene su fiumi e guadi, che dopo qualche cattiva esperienza da parte degli eritrei finì per fare strage solo di cammelli e animali selvaggi.
Da leggere con attenzione le pagine delle rappresaglie sulla popolazione indigena dopo l’attentato al Viceré d’Etiopia, il generale Graziani. Raggiunto da centinaia di piccole schegge di bombe a mano, reagì con isteria alle ferite, ordinando stragi, repressioni, fucilazioni in massa, dai cadetti della scuola ufficiali di Olettà ai religiosi copti del santuario di Debra Libanos, tutti accusati senza prove di complicità coi terroristi. Ce n’è anche per la scarsa organizzazione e la guerra povera condotta dall’Italia fascista in Africa Settentrionale, dove il seniore Salerno si sposta. In terra e nell’aria i nostri combattevano gli inglesi con armamenti inadeguati, pagati comunque a peso d’oro all’industria nazionale. Quanti profitti sulla pelle dei militari italiani e quante umiliazioni davanti al nemico.
Angelastro , classe 1954, già corrispondente dell’Unità da Bari è giornalista Rai dal 1977, prima nella sede regionale pugliese poi a Roma. Capo redattore, ha ideato e curato servizi e rubriche culturali, fino a “Tg1 Incontri” e “Tg1 Persone”: ritratti di uomini e donne che raccontano i principali temi del nostro tempo, con l’esempio della loro vita. Sula stessa falsariga, dopotutto, degli incontri del 1986 con l’avvocato Salerno.