Rosso Istanbul di Ferzan Ozpetek
Film e libri che parlano Italiano ma ricordano la Turchia: Ferzan Ozpetek crea opere cinematografiche e letterarie, secondo questa esigenza-magia. Al suo primo libro, Rosso Istanbul (Mondadori, 111 pp., 16,50 €), segue il secondo Sei la mia vita. Anche in Rosso Istanbul Ozpetek, da buon regista, sa osservare e raccontare vite. Vite che prendono un aereo e atterranno a Istanbul, la città apparentemente senza confini, dove tutto si mescola e si attacca a significati nuovi in tempi rapidissimi. Si tratta di un libro a storie parallele, capitoli che si alternano a seconda di chi racconti o venga raccontato: un regista turco che ritorna a Istanbul dall’Italia (eh sì, autobiografia vera e propria tant’è che è la prima persona a essere utilizzata) e Anna, una donna sposata che decide di fare un viaggio con suo marito e con una giovane coppia, tutti designer, tutti colleghi di lavoro. Turchi che ritornano, italiani che vanno, chi ricorda ricordi in luoghi già vissuti, chi immagina per simboli hamam e moschee, luoghi silenziosi che profumano di sacro. Il regista ritorna per qualche giorno dalla madre, che vive sola nella casa della sua infanzia. Lei è una donna dai modi fini, dai pensieri delicati, dotata del coraggio necessario a stare accanto a un marito, il padre, assente: forse a Venezia, forse in carcere; una gondola su di una mensola lo rappresentano. E poi il primo amore, quello puro e adolescenziale, che muore in quei giorni. Ricordi, amori, amori, ricordi: la villa del glicine che come casa sua presto sarà distrutta e sostituita da palazzi, nuove presenze insostituibili che ti aspettano a Roma a braccia aperte, suggerendoti la via di casa e che si affiancano a vecchi incontri. Le stesse divagazioni in cui noi stessi inevitabilmente ci imbattiamo, sono rappresentate in maniera più o meno interessante:
Anna, nello stesso momento in cui il regista è perso nel suo passato che riemerge nel presente con lievi tagli al cuore, scopre meglio il suo presente e si prepara al futuro. Una vacanza, questa, che le permette di scoprire un marito infedele e di ammettere che la sua vita si presenta con un immagine truccata. Si allontana da tutto ciò e si avvicina alla quotidianità rivoluzionaria di Istanbul grazie a due ragazzi del posto, Murat e Gül. Partecipa alle proteste di Gezi Park e storie-immagini diverse le scorrono negli occhi, tra cui la ragazza con il vestito rosso aggredita dalla polizia con uno spray al peperoncino. Immagine-emblema, questa, della protesta. Istanbul si tinge di rosso, non è il rosso del sole che cala sul Bosforo e che tanto ammalia i passeggeri dei traghetti, è il rosso di quel vestito, è il rosso della rivoluzione, è il rosso dei cambiamenti, è anche il rosso donna. A fine libro le storie si intrecciano, il regista incontra Anna, due sconosciuti fino a quel momento:
Raccontare luoghi e vite, viaggiare stando fermi, trovare il nostro sud per scoprirsi al caldo: questo è il mestiere dello scrittore che se poi è regista il libro diviene tanto più chiaro (forse meno scultoreo ed elegante, ahimè). Rosso Istanbul è una lode, non un capolavoro della letteratura seppur ben scritto e piacevole da leggere, a quella città e a quelle tante esistenze anonime incatenate in quelle tante storie che devono essere scritte e mitizzate, alla stregua di avvenimenti individuali e collettivi, esistenziali e politici, che non vanno dimenticati.