Il Regno di Emmanuel Carrère
Ne La vita come un romanzo russo Emmanuel Carrère scrive, a proposito dell’esperienza di fede di suo nonno:
La religione secondo Carrère
La trama di questo libro in fondo non esiste come non c’è un genere letterario che lo possa contenere tutto. Parla della predicazione di Paolo di Tarso, di Luca, di Giovanni e di tanti altri vissuti nel I secolo dopo Cristo, secondo una datazione data a posteriori. Paolo ci viene presentato come un vecchio burbero, malato di un male che lo rende ripugnante, testimone itinerante sempre attaccato al suo telaio, che parte da Corinto per annunziare a ebrei e gentili il Regno secondo Gesù, crocifisso in Galilea venti anni prima. Luca, invece, è un medico greco che scrive bene in quella lingua colta e che si chiede cosa sia stato a rendere così speciale un insegnamento quasi incomprensibile, fuori da ogni logica eppure tanto affascinante; senza obbedire troppo a Paolo avvia la sua inchiesta e comincia a scrivere come farebbe un romanziere o, forse, meglio ancora, uno sceneggiatore. Con Paolo e Luca, prima che diventassero per tutti San Paolo e San Luca, troviamo tanti altri personaggi vecchi e nuovi: Giovanni, Giuseppe Flavio, Nerone, Seneca, Ponzio Pilato, una psicoanalista, una baby-sitter, un buddhista, ma, sempre, troviamo Carrère, è lui che tiene insieme i fili.
La critica
Secondo alcuni critici, lo scrivere, per Carrère, si ridurrebbe essenzialmente ad un atto autocelebrativo, una sorta di palcoscenico narcisista, per cui ogni suo libro sarebbe autobiografico, ogni argomento affrontato sarebbe il suo punto di vista, senza tema di smentita, vista l’assenza di giustificazioni o prove a sostegno delle sue affermazioni; per queste ragioni, Il Regno sarebbe un’opera fallita, “un gioco non riuscito”. I lettori, che si aspettavano un super libro sul primo secolo dell’era cristiana, sono rimasti delusi, molti non lo hanno letto o lo hanno finito a fatica. Insomma, non sono mancate le critiche, e di questo libro si sta ancora parlando molto e, fosse solo per questo, Carrère avrebbe già fatto centro, ma ci sarebbe anche da chiedersi quanto siano stati attenti quei critici e quei lettori contrari. Il Regno, ad una prima, ma anche ad una seconda lettura (andrebbe letto almeno due volte), nonostante la prosa perfetta, non risulta facile per i continui passaggi dall’ieri all’oggi, per i richiami ai testi biblici, alla storia vetero-cristiana e vetero-testamentaria, espressioni normali per un uomo della cultura di Carrère, non scontati per la massa dei lettori. A ciò si aggiungono i gusti personali e la disattenzione, talvolta voluta, per i particolari, primo fra tutti la citazione di Marguerite Youcenar, che Carrère dichiara di non amare molto eppure la cita, ponendosi nei panni di colui che vuole dare maggiore forza alla sua affermazione proprio perché non è un estimatore: “Perseguire l’attualità dei fatti, rendere a quei volti marmorei la loro nobiltà, l’agilità della cosa viva“. Non fece lo stesso Flavio Giuseppe, quasi indotto alla condivisione di un pensiero, dinanzi alla forza di persuasione e di convincimento del pensiero altrui?
Paolo narra di fatti avvenuti circa venti anni prima: Carrère non rispolvera i suoi taccuini più o meno dopo vent’anni, accorgendosi, però, che la durezza degli scritti Paolini non lo coinvolge più? Difatti, Paolo sembra il protagonista, ma poi ci accorgiamo che non lo è, il vero protagonista è Luca ed anche qui non mancano le assonanze. Luca è colto, scrive bene, è un romanziere, anzi, potremmo dire, uno sceneggiatore: lo stesso mestiere di Carrère, è evidente, mentre qualcuno può non aver notato che, in altri libri, lo scrittore francese parla spesso della sua indubbia capacità di parlare e scrivere bene, facendone quasi un problema esistenziale. Poche, ma sublimi pagine vengono dedicate ad un Ulisse lacerato dalla necessità di scegliere fra l’immortalità promessagli da Calipso, ove mai decida di non tornare ad Itaca, e la miseria e la sofferenza umana che lo attendono in patria. Lo scarto viene reso in maniera plastica mettendo a confronto due donne (Carrère ama follemente le donne anche se in modo conflittuale): l’eterna bellezza e l’eterna giovinezza della ninfa e il disfacimento, dovuto agli anni, la bellezza sfiorita di Penelope. Ulisse, lo sappiamo, sceglie la vita e rifiuta l’immortalità. Carrère rifiuta le rassicurazioni del Regno che verrà e torna alla vita coi suoi dolori, affanni, turbamenti, incertezze, con la sua meravigliosa imprevedibilità. Il Regno, un sorprendente esempio di come la letteratura possa essere vita e la vita farsi letteratura se accetta di diventare finzione. Racconto di un’esperienza tutta umana, umanamente storica, storicamente umana, sempre.