Penelope alla guerra di Oriana Fallaci Penelope alla guerra di Oriana Fallaci

Penelope alla guerra di Oriana Fallaci

Penelope alla guerra recensione

Credits: ilmiomondoinventato.com

Sono mesi ormai che tengo fede alla mia promessa di conoscere meglio Oriana Fallaci e recentemente è stato il turno di leggere il suo primo romanzo. Mi riferisco a Penelope alla guerra, pubblicato nel 1962 da Rizzoli.

Se il vecchio non ti avesse mandata, in America, prima o poi ci saresti andata da te. Da quando ti conosco non fai che parlarne: sembra tu abbia un appuntamento, laggiù. Peggio: sembri un Ulisse che va ad espugnare le mura di Troia. Ma non sei Ulisse, sei Penelope. Lo vuoi capire, sì o no? Dovresti tesser la tela, non andare alla guerra. Lo vuoi capire, sì o no, che la donna non è un uomo?

La storia raccontata in questo romanzo è una storia di disillusione. Disillusione nei confronti di tanti e diversi aspetti dalla vita. La protagonista si chiama Giò e per lavoro scrive sceneggiature cinematografiche. Il suo capo la manda a New York per cercare l’ispirazione per la sua prossima storia ed è qui che inizia il suo – e il nostro – viaggio. In America Giò si illude di aver trovato ciò che sognava: il sogno americano; l’indipendenza; un amore che credeva perduro. Sì, perché proprio a New York Giò ritrova Richard, un ex soldato in fuga che la sua famiglia aveva ospitato nella sua casa di Roma durante la Seconda Guerra Mondiale. La ragazza si era innamorata di lui e grazie a Richard aveva imparato ad amare l’America ancora prima di andarci, grazie ai suoi racconti. Una volta a New York, Giò crede che tutto sia andato al suo posto. Ama la città, l’incontro casuale con Richard diventa il coronamento di un amore nato in adolescenza, il suo lavoro fa un passo in avanti grazie ad un’offerta inaspettata e prestigiosa. Ma ad un certo punto tutto sembra crollare. L’America, in fondo, non è casa sua e Richard rivela essere un uomo insicuro e infelice, incapace di stare accanto a qualcuno, figuriamoci a una donna.

E non dar retta a chi dice che il destino ce lo fabbrichiamo da noi o che la Provvidenza ci protegge: non ti protegge nessuno dal momento in cui nasci e piangi perché hai visto il sole. Sei sola, sola, e quando sei ferita è inutile che tu aspetti soccorso poiché non v’è genitore o amante o fratello che possa perdere tempo per te: essi si chinano più o meno a lungo sopra di te, magari ti fasciano e ti danno da bere, ma poi riprendono irrimediabilmente la strada dove saranno a loro volta feriti. […] La vera guerra non è quella che combatti quando due potenti imbecilli hanno deciso di buttare una bomba. La vera guerra è quella che combatti nell’amore e nell’odio non comandati, soprattutto quando ritorni. Tu ritorni, Giò, col cervello ed il cuore sbranati da una ferita gravissima: ma gli altri lo ignorano perché nelle apparenze tu sei come prima. Lasciali in questa illusione. Non raccontare che sei cambiata, non raccontare la guerra che ti ha fatto cambiare. La tribù dove vivi non sa cosa farsene dei martiri e degli eroi.

In questa storia Giò diventa il simbolo di tutte quelle donne che combattono ogni giorno, silenziosamente, la propria guerra. Una guerra che in realtà non dovrebbe neanche essere tale. E in tutto questo lottare – fino poi a rimanere nella solitudine – io non posso che vederci la stessa Fallaci. Nonostante lei abbia affermato più volte che in questa storia non c’è niente di autobiografico, per me è stato inevitabile far coincidere Giò con Oriana. I pensieri della protagonista della storia non sono forse gli stessi dell’autrice? E forse, in fondo, è il pensiero di tutte le donne, e un po’ anche il loro sogno, quello di essere considerate al pari degli uomini. La fragilità non è prerogativa esclusiva delle donne ed infatti in questa storia la persona più fragile e in qualche modo instabile è proprio Richard, è un uomo, non una donna. E Giò non fa altro che comportarsi un po’ da uomo, abbandonando tutto, scappando da una vita in America che non riconosce come sua e continuando a lavorare sodo per realizzarsi e non essere più considerata “solo una donna”.

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Io trovo che questo romanzo celi un messaggio molto importante, per il quale la Fallaci si è sempre battuta. Uomo o donna, che differenza fa in fondo? La fragilità può essere ovunque, così come la forza e la determinazione. E il successo di questo romanzo, con il quale Oriana Fallaci è entrata nel mondo della narrativa italiana, non fa che confermare, a mio avviso, quella che è sempre stata una sua qualità: essere sempre un passo avanti agli altri. E questo credo sia straordinario, indipendentemente dal fatto di essere una donna o un uomo.

Autore: Chiara Nicolazzo

La mia passione per i libri è nata grazie al romanzo Il mio paese inventato di Isabel Allende, una storia autobiografica che mi ha aperto un mondo, quello dei libri, che conoscevo solo superficialmente. Da quel momento ho iniziato a leggere sempre e ovunque. Mi piace perdermi nelle parole e vivere mille vite diverse.

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