Dopo il nero della notte di Cristina Rava, nuova indagine per Ardelia Spinola
Piove su Albenga. Piove su Alassio. Piove su Genova. Si direbbe che le cateratte del cielo si siano aperte sulla Liguria, nel secondo titolo di Cristina Rava, Dopo il nero della notte (Garzanti, 300 pagine, 16,40 euro). Un romanzo che ha ancora una volta per protagonista Ardelia Spinola, medico legale ligure, single. Il cielo è grigio cupo anche nella vita della dottoressa, che contempla il suo ennesimo fallimento sentimentale. Se n’è andato pure il commissario, del resto il loro menage scivolava via piatto, senza passione, fin dall’inizio. S’è per questo, non si sono nemmeno lasciati, ma nessuno dei due ha ravvivato la situazione. Ora lavora a Roma ed ha un’altra. L’ha sostituita: dovresti conoscerla, avete tanti punti in comune. Non gliene importa niente, né di lui né di quella. Gli uomini della sua vita sono transitati come asteroidi, secondo, terzo, quarto… più che un nome, un numero, a parte Niccolò, immenso amore-dolore della prima età adulta. Comunque, ora lei è sola. Ed è quanto basta per ritirarsi in casa a piangere, in preda a “pura sindrome abbandonistica”. Non è una giovinetta, viaggia intorno ai cinquanta, ama i gatti, la musica d’archi, qualche volta anche la solitudine (Cristina Rava scrive così, fluida e brillante. Scrive bene, in modo gradevolmente intelligente, senza spocchia intellettuale). Ardelia adora il suo lavoro. È tenace, volitiva. Riconosce d’essere spesso impicciona e non resiste alla tentazione di condurre indagini parallele a quelle ufficiali. Il nuovo caso è un bibliotecario brizzolato, con un passato da professore, rinvenuto cadavere in un ascensore di servizio del palazzo che ospita la biblioteca, tradito da un’emorragia sottovalutata, che lo ha dissanguato nella cabina, senza campo per il cellulare, bloccato da un black out elettrico causato dal temporale. Ispezione esterna e sopralluogo domiciliare rivelano che il prof. Drovetti è stato ferito al peritoneo da un colpo di pistola. Ecco il foro di entrata all’inguine. Anche quello di uscita. Si è medicato da solo, ha sopportato il dolore intenso, cercando di tornare nel suo ufficio, con due libri nella borsa. Un grande sforzo, una prova di carattere. Lesioni ad una vena, le arterie erano state risparmiate, il sangue pompava lentamente e questo lo ha illuso di potercela fare. Tutto confermato dall’autopsia, eseguita da Ardelia nell’esercizio della sua professione di “frugamorti”, sempre col delicato rispetto che riserva ai cadaveri. Per lei hanno una dignità, sono persone. È tutta presa da nobili valori, quando tira giù la mascherina di plastica trasparente, è come se abbassasse la celata di un elmo da cavaliere medievale. Dunque la vittima ha voluto raggiungere la biblioteca nonostante la ferita e gli spasmi che lo piegavano in due. Lo sentiva come un dovere assoluto. Ardelia si chiede perché, giusto mentre la sua vita amorosa, benché piena di buchi neri, sembra regalarle una nuova pagina da scrivere. In pieno caso Drovetti è apparso Arturo. È entrato in scena col botto, tamponandole l’auto ad uno STOP, ma un po’ tutte le sue apparizioni sono colpi di teatro, sembrano perfino studiate, strategiche. Arturo Granero, coetaneo affascinante, occhi azzurri, piemontese, apicoltore, esperto erborista, laureato in chimica, una carriera accademica piantata in asso per l’aria aperta. La dottoressa è innamorata, però ha paura di soffrire. Non sa se sia il caso di buttarsi, a cuore aperto. Tutto qui, sembra inopportuno fornire indiscrezioni sulla scelta passionale. Gli sviluppi vanno diligentemente scoperti tra le pagine incisive di Cristina. Solo qualche particolare in più sul Drovetti, il bibliotecario bibliofilo. Un gran cervello, tanta cultura, anche lui un passato da studioso e insegnante, accantonato per un impiego banale. Era anche un bell’uomo, con un notevole ascendente sul gentil sesso. Il maturo professore cuccava parecchio, donne su donne, conquistate da quell’aria un po’ così, da intellettuale incanutito da giovane età, una specie di Franco Battiato più ascetico. È proprio vero: non c’è di meglio del fascino dei capelli bianchi per non andare in bianco.