Castelli di rabbia, omaggio a Quinnipak
A Quinnipak viveva la signora Rail. Ma più di qualsiasi altra cosa, ci viveva la sua bocca. Poi venivano i capelli, gli zigomi, la pelle bianchissima, la piega degli occhi. Ma prima di tutto, le labbra. Le labbra di Jun Rail.
A Quinnipak vive il signor Rail. Di tanto in tanto partiva. Non si sapeva di preciso dove andasse. Lui, semplicemente, partiva.
[…] lei lasciava scivolare qualche istante di nulla,
poi chiudeva gli occhi e invece di dire
– Buona notte
diceva
– Quando parti?
– Domani, Jun.
L’indomani partiva.
E poteva stare fuori un giorno oppure mesi, il signor Rail. Ma poi, alla fine, tornava. Non si sa con quali storie da raccontare o dimenticare. Lui, semplicemente, tornava.
A Quinnipak vivevano Pekisch e Pehnt. Uno era un uomo, l’altro era un ragazzino. Ed erano sempre insieme quei due.
Pekisch ogni venerdì sera suonava l’umanofono. Era una specie di organo, ma al posto delle canne c’erano le persone; ed ognuno suonava la propria nota, quella personale e intima; la propria, insomma. Lo aveva inventato lui, questo strumento, insieme a tutta una serie di altre diavolerie che aspettavano solo di trovare una loro collocazione nel mondo. Ma intanto lui stava lì, ogni venerdì sera, a suonare l’umanofono.
Pehnt, che tutto quello che faceva, era aspettare. Aspettare di crescere per poter indossare una giacca…e se poi, alla fine, ci fosse riuscito… solo allora… avrebbe potuto lasciare la cittadina per cercare fortuna nella capitale. Nel frattempo, però, aveva un quaderno nel quale poter annotare tutto quello che c’è da sapere, perché a otto anni, Pehnt, aveva già capito che sono troppe le cose da ricordare nella vita.
Poi c’erano molti altri a Quinnipak…
il vecchio Andersson, un genio del vetro, e da sempre lo era stato…
la vedova Abegg, una donna di notevole fantasia e solide certezze, sposata per tre anni con un libro…
il dottor Hector Horeau, portatore di un incanto, la costruzione del Crystal Palace.
Frammenti di vita eccezionali, che si sviluppano e si intrecciano in un posto destinato a cambiare per sempre la vita delle persone…
…Quinnipak…
un luogo nella testa piuttosto che sulla carta
un luogo in cui seguire il flusso dei propri desideri sembra essere l’unica cosa che vale, provando, in ogni modo, a realizzarli; non importa quanto strani o assurdi siano, è provare che conta
un luogo in cui, improvvisamente, tutto può cambiare…basta un tac… e non è più la stessa cosa. Ma intanto, pezzi di Quinnipak, sono stati vissuti e, arrivati a questo punto, l’unica cosa che resta da fare per salvarsi è la fuga… l’abbandono… la pazzia… o la morte. Perché non ti lascia un posto così, senza cambiarti qualcosa dentro.
È questo, tutto quello che cerca di realizzare questo romanzo… il piacere di restituire la priorità alle proprie fantasie, come unica via possibile. Provare a realizzarle, poi, un viaggio bellissimo.
Tutti hanno la propria Quinnipak da qualche parte, da trovare o conservare, e magari farci un salto ogni tanto.
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