Un aperitivo con Marco Della Croce, autore di Nera di Malasorte
“Io prendo un Moscow mule, tu? Vodka, ginger ale e qualche fettina di cetriolo. Un cocktail freschissimo.”
“Non lo conosco, voglio provarlo!”
“Allora 2 Moscow mule, per favore.”
Intervista a Marco Della Croce
Conosco farmacisti cantanti, pittori, fotografi e scrittori. Toglimi una curiosità: quale principio attivo provoca questi effetti collaterali? Per dirla senza giri di parole: è davvero così triste fare il farmacista?
Se è davvero così triste? Di più! No, scherzo. Fare il farmacista, in effetti, può riservare grandi soddisfazioni, soprattutto nel rapporto quotidiano con la gente. Se è onesto, competente ed empatico il dottore dietro il banco diventa infatti un’importante figura di riferimento per tutti. Il problema nasce se tu sei un farmacista collaboratore, definizione un po’ ipocrita per dire che sei un dipendente con a tuo carico uno stipendio offensivo, pochissime tutele sindacali, all’interno di un quadro normativo da far accapponare la pelle. La situazione si aggrava ulteriormente se il farmacista è dotato, per sua massima sventura, di velleità creative e/o capacità artistiche. Questo, infatti, è un lavoro che non permette, per sua stessa natura, alcun volo pindarico. Ecco perché esistono tanti miei colleghi che amano (anche) far dell’altro: sono tutti quelli colpiti da questa forma di mutazione genetica. Per questi farmacisti fotografare, dipingere, cantare e, ovviamente, anche scrivere diventa necessità stessa di sopravvivenza. Per quanto mi riguarda, dopo quasi trent’anni dalla laurea, sono finalmente riuscito a trovare un equilibrio che mi permette di fare entrambe le cose. Venti ore alla settimana dietro un banco, le altre a scrivere.
Prima ancora di leggere il libro, sono stata colpita dalla fotografia in copertina; volto pagina e scopro che è tua. Allora ho ragione! Tu sai anche fotografare; oppure è un unico scatto, venuto bene per caso?
No, è semplicemente una composizione originale realizzata dal sottoscritto con Photoshop, utilizzando tre fotografie differenti (due delle quali mie). Per il mio romanzo, infatti, volevo una sintesi grafica di forte impatto che riassumesse alcuni temi – anche geografici – sviluppati all’interno della trama. Ringrazio l’editore Felici che mi ha consentito – caso più unico che raro – di utilizzare la mia idea. In effetti non so bene se sono riuscito nel mio intento, devo però ammettere che il giudizio complessivo dei miei lettori è stato più che positivo.
Devo confessarti che mi ha spiazzata la tua scelta di sviluppare il romanzo su due livelli temporali così agli antipodi: da un lato gli orrori della guerra di Liberazione e dall’altro la musicalità ribelle del ‘68. Quale è stata la scintilla che ti ha fatto pensare di poter collegare i due periodi col filo nero di un romanzo?
<Parlerei di più scintille, molte delle quali diluite nel tempo: esperienze, letture, canzoni, viaggi, interessi, amicizie. Se però devo indicarne una, quella decisiva, allora indico un libro “Il mio nome è Victoria“, la straordinaria autobiografia di Victoria Donda, una giovane deputata argentina. La sua incredibile e commovente vicenda si svolge infatti attraverso due epoche distinte della storia del suo paese – prima e dopo la dittatura militare – eppure indissolubilmente legate da un filo invisibile che non si è mai spezzato per la mancanza di volontà di fare chiarezza sul passato. La stessa cosa che, a mio avviso, è accaduta a suo tempo in Italia. La storia della Donda è, in questo senso, esemplare, tanto da avermi ispirato sia la trama che la struttura stessa di Nera di malasorte, ovviamente trasportate in epoche e contesti geografici differenti.
Il tuo personaggio è nel pieno di una forte crisi interiore: il suo io ribelle e riflessivo poco si adatta al rigore che il suo lavoro gli impone, tant’è che durante una manifestazione si lascia andare ad uno sfogo personale “Cazzo, ero nato troppo presto!” a voler dimostrare la sua simpatia per il movimento “rivoluzionario” in atto nel ‘68. Forse che tu, Marco Della Croce, senti di essere nato troppo tardi e di averlo mancato di un soffio?
Forse, chissà? In effetti non conosco la risposta, ma posso tentare si trovarne una. Io sono nato nel 1961 e all’epoca della vicenda narrata in Nera di malasorte frequentavo la seconda elementare. Ero dunque troppo piccolo per aver vissuto quel periodo in piena consapevolezza. Di quegli anni mi è però rimasta un’eco profonda, incancellabile, un rumore di fondo chiamato “libertà”. Una parola, questa, oggi fin troppo abusata, ma a quell’epoca vera e propria religione laica a cui i ragazzi erano totalmente devoti. Oggi, il mio giudizio su quel periodo è ovviamente più articolato, riesco a vederne i tanti pregi e i molti difetti, le eredità positive e le derive ideologiche, le spinte propulsive e quelle reazionarie. Si tratta, tuttavia, di una stagione passata, finita, del tutto irripetibile anche perché frutto di condizioni sociali ed economiche totalmente diverse da quelle di oggi. Inutile rimpiangerla, dunque, così come è stucchevole vedere in essa, come fanno alcuni, la radice dei mali attuali. Di una cosa, però, almeno io, sento oggi la mancanza: la straordinaria capacità, da parte di quella generazione, di proiettare i propri sogni, i propri desideri e la propria volontà di cambiamento nel futuro. Perché una cosa è certa: i ragazzi di allora il futuro lo vedevano per davvero, quasi lo toccavano, lo sentivano a portata di mano. Era lì, bastava mettersi in cammino e girare l’angolo. Inutile che io sottolinei quanto questo concetto sia oggi – e non certo per colpa dei giovani – una parola svuotata di contenuto. Con tutte le nefaste conseguenze del caso.
Il titolo stesso del romanzo lascia intendere che questa non sarà l’unica indagine del commissario Sbrana. Hai già in mente un piano? E vorresti anticiparcelo?
In effetti il commissario Simone Sbrana sta già lavorando al suo secondo caso – anche questo legato a un oscuro passato – che dovrebbe essere definitivamente risolto – o forse no, chissà? – entro la fine della prossima estate. La trama? Posso solo anticiparti che la nuova indagine ha inizio nel pomeriggio di venerdì 12 dicembre 1969, una data cruciale per la giovane democrazia italiana e che nessuno – credo – potrà mai scordare.
“Ecco i Moscow mule: alla tua ed in bocca al lupo”
“È davvero buono, avevi ragione!”
Di seguito i riferimenti dell’autore:
La pagine facebook di Marco Della Croce