Intervista a Pietro Melis autore di Addio a dio Intervista a Pietro Melis autore di Addio a dio

Intervista a Pietro Melis autore di Addio a dio

Intervista a Pietro Melis autore di Addio a dio

Intervista a Pietro Melis autore di Addio a dio

Nella sua opera “Scontro tra culture e metacultura scientifica” Pietro Melis affronta la questione degli effetti prodotti dalle religioni “rivelate”. Non pensa che la loro presenza, al di là dell’origine, sia anche un semplice effetto del bisogno d’ordine sociale?

Le religioni rivelate nascono sulla base di una credenza degli uomini primitivi che, come spiega Darwin ne L’origine dell’uomo, da quando incominciarono a credere che le immagini oniriche dei loro parenti defunti provenissero da spiriti, incominciarono a seppellire i loro cadaveri dando luogo alle onoranza funebri. Da qui sorse anche la religione totemistica che estendeva l’immortalità anche a degli animali considerati sacri, la cui uccisione una volta l’anno serviva ad impossessarsi dello spirito dell’animale sacro.

Il successivo passo fu la credenza in divinità che rappresentavano originariamente le forze della natura. Lo sviluppo del politeismo portò poi a scindere le divinità dalle forze della natura, nonostante rimanesse in alcune di esse la rappresentazione della forza della natura, come in Nettuno, il dio del mare. Dunque le religioni in origine non sorsero come bisogno di fondare su di esse un ordine sociale. E’ anche vero che poi il politeismo nell’antichità greco-romana le divinità assursero alla funzione di protezione di uno Stato secondo le sue necessità politiche e sociali. Da qui la nascita dei templi pagani in cui si invocavano le diverse divinità a seconda delle prerogative ad esse attribuite, con la credenza che esse potessero essere soddisfatte con sacrifici di animali.

Ma nel mondo greco-romano la religione era un’istituzione statale, con sacerdoti che erano dipendenti dall’autorità statale. Solo con il monoteismo di origine ebraico-cristiana si arrivò, al contrario, a concepire la religione come fondamento delle istituzioni statali arrivando così ad una sorta di teocrazia, in cui i sacerdoti non dipendevano più dalle istituzioni statali, ma, al contrario, le controllavano. Bisogna però pecisare che nell’antichità ebraica il monoteismo non nacque subito in contrapposizione al politeismo. Infatti la religione ebraica passò dal politeismo, in cui prevalente era il dio Jahweh (avente come maggiore antagonista il dio Baal) alla monolatria che incominciò con la riforma del re Giosia nel 609.

Nel primo tempio (quello fatto costruire da Salomone), distrutto nel 587 dal re babilonese Nabucodonosor, venivano riconosciute ed onorate anche altre divinità nel tempio. Con la riforma del re Giosia non venne negata l’esistenza di altre divinità, ma si proibì il loro culto, ristretto ormai al dio Jahweh, assurto ormai a dio nazionale. Solo nel 538, con il ritorno dei discendenti degli esiliati in Babilonia, incomincia a sorgere il monoteismo, con il riconoscimento dell’esistenza di un solo dio. Con il ritorno degli esiliati avvenne l’inizio della costruzione del secondo tempio (allargato molti secoli dopo da Erode il grande). Il monoteismo nacque dalla convinzione ebraica che la distruzione di Gerusalemmme nel 587 fosse dovuta all’ira di Jahweh che non era stato mai riconosciuto come dio unico.

La religione cristiana ereditò dall’ultima fase della religione ebraica il monoteismo, ma vi introdusse la trinità sulla base dell’influenza della triade neoplatonica Uno-Intelletto-Anima del mondo. E’ evidente che la religione, assurta ormai con le sue autonome gerarchie a potere autonomo scisso dallo Stato, tanto da entrare in conflitto con esso, come dimostrano i conflitti tra papi e imperatori del sacro romano impero, che dovevano avere la loro investitura dai papi, diveniva in questo modo il fondamento dell’ordine sociale costituito. L’imperatore era la faccia temporale di quell’unico potere che aveva il suo fondamento in Dio. La religione dunque come fondamento dell’ordinamento statale e sociale.

Con il lento processo di laicizzazione dello Stato e la nascita degli Stati nazionali, a cominciare dalla Francia, la figura dell’imperatore del sacro romano impero, ridottasi già prima ad essere imperatore dell’impero asburgico, scomparve definitivamente con Napoleone, che tuttavia sentì anch’egli il bisogno di consacrare la sua carica di imperatore e di re d’Italia facendosi incoronare a Parigi dal papa Pio VII, che fu costretto ad andare per questo a Parigi. Nonostante il processo ulteriore di laicizzazione, dovuto soprattutto all’Illuminismo e ai filosofi materialisti del XVIII secolo in Francia, la religione continuò a rimanere nel popolo incolto come fondamento dell’ordine sociale.

A questo proposito bisogna ricordare il famoso discorso  del grande Inquisitore ne I fratelli Karamazov. L’Inquisitore di fronte a Gesù tornato in terra gli rimprovera di voler distruggere l’ordine sociale facendo appello alla coscienza individuale, che avrebbe distrutto il fondamento stesso di tale ordine, che era la Chiesa come istituzione. Non vi può dunque essere ordine sociale che sia scisso da un ordine di cui la Chiesa come istituzione si fa fondamento.

Il processo successivo del liberalismo ha portato a scindere l’ordine sociale voluto dallo Stato da quello fondato sulle regole religiose. Rimase nei credenti la religione come spiegazione dell’origine del mondo e come mezzo per dare un senso alla vita nel perdurare della credenza primitiva nell’immortalità dell’anima. Ma  nel monoteismo cristiano, nonostante poche eccezioni di semplici preti e teologi, l’immortalità viene attribuita solo all’anima umana. In sostanza, la credenza nell’immortalità dell’anima umana serve sia come rimedio alla disperazione di fronte alla morte sia come arma della religione stessa, che può indirettamente essere utilizzata dallo Stato, come deterrente psicologico contro ogni forma di violenza pubblica o privata. Ancora una volta si può fare riferimento alla famosa frase  di uno dei protagonisti del romanzo I fratelli Karamazov: se Dio non esiste allora tutto è permesso. Voltaire scrisse che, se Dio non esistesse, bisognerebbe inventarlo perché esso serve a tenere il popolo soggiogato da determinate leggi divine che sono anche il fondamento  dello Stato. La religione è come il morso che bisogna mettere al cavallo per guidarlo. Ma lo stesso concetto può ritrovarsi in filosofi, se pur distanti, come Hobbes, fautore dell’assolutismo, e Locke, padre del liberalismo moderno.

Oggi solo l’islamismo pare avere un diretto controllo sull’ordine sociale per l’identificazione della legge con le norme del Corano, di cui è per diversi gradi pervasa la stessa società negli Stati islamici, come soprattutto nella teocrazia dell’Arabia Saudita. All’interno del cristianesimo, dopo la caduta del comunismo dell’Unione Sovietica, vi è una profonda influenza della Chiesa ortodossa sullo Stato russo, anche frutto di una nuova forma di nazionalismo che ha voluto riprendere le radici storiche di una Mosca che, dopo la caduta dell’impero bizantino, si era proclamata terza Roma.

Le sue opere sono dense di dettagliati riferimenti storici, teologici e filosofici, ritiene che questo sia l’approccio essenziale per prendere coscienza dei problemi culturali che affliggono la nostra società?

Il mio testo è soprattutto l’esposizione, per circa la metà del testo di 800 pagine, dell’esegesi biblica svolta dai maggiori studiosi mondiali dell’Antico Testamento. Chi non ha capito che l’Antico Testamento è nato con l’unico scopo di giustificare il diritto del popolo ebraico alla terra di Palestina, come promessa dal loro dio Jahweh, non ha capito l’unica finalità dell’Antico Testamento, che non aveva alcuna intenzione nei suoi scrittori anonimi di fare del proselitismo presso altri popoli. Anzi, il popolo ebraico è rimasto sempre geloso del suo dio, che non voleva che il suo popolo si contaminasse con altri popoli. Questa è la somma contraddizione dell’Antico Testamento, che espone la concezione di un dio ordinatore, non creatore dal nulla, del mondo, e tuttavia rimane come dio che chiede di essere riconosciuto come tale solo dal popolo ebraico. In realtà l’Antico Testamento è il risultato nel Genesi di antiche mitologie e racconti egizi e mesopotamici (mesopotamici soprattutto per quanto riguarda le figure di Abramo, Isacco e Giacobbe). Mosè risulta non essere mai esistito perché è una figura che riprende racconti di origine egizia.

Lo stesso nome ne tradisce l’origine egizia. Il popolo ebraico, pur essendo circondato da Stati che erano allora all’avanguardia nel campo della conoscenza scientifica, l’Egitto e gli Stati mesopotamici, rimase un popolo ignorante proprio per il divieto religioso di contaminarsi con altri popoli. Questo isolamento è stato la causa della persecuzione degli ebrei in tutta la loro storia prima del processo di lacizzazione che l’ebraismo subì nel  XIX secolo. Essi rifiutarono sempre di integrarsi negli Stati in cui vivevano, pretendendo che fossero riconosciute per essi delle eccezioni che concordassero anche con le loro tradizioni alimentari. Ancor oggi essi, come gli islamici, pretendono che sia rispettata la macellazione kosher (corrispondente a quella halal islamica). Il cristianesimo, sorgente dalle radici dell’ebraismo, ne ha cambiato totalmente la sostanza prima di tutto introducendo la trinità, in concordanza con l’influenza della filosofia neoplatonica.

Nonostante tutte le oscurità della sua storia il  cristianesimo (con i conflitti tra confessioni cristiane, tra imperatori e re da una parte e Chiesa dall’altra) è stato traghettatore, proprio tramite la trinità, includente nella terza persona l’Intelletto, della razionalità greca o LOGOS. E’ questo un aspetto che fu messo bene in luce dal papa Benedetto XVI nel famoso discorso di Ratisbona, in cui lamentò la dis-ellenizzazione del cristianesimo. In considerazione di ciò si può dire che la rivoluzione scientifica poteva avvenire solo nell’Europa cristiana. E infatti nel Medievo i principali scienziati erano religiosi, che si contrapponevano alla filosofia aristotelica sottoponenendola ad analisi critica. E sino alla Controriforma la Chiesa  cattolica fu una scuola di liberalismo in fatto di conoscenza scientifica. Basti considerare che il vescovo di Parigi Stefano Tempier nel1277 affisse sul portale della cattedrale di Notre-Dame 20 tesi che contrastavano quelle fondamentali di S.Tomaso dicendo che il mondo era infinito e non finito. Il vescovo di Parigi Nicola d’Oresme nel XIV secolo affermò la rotazione della Terra intorno al suo asse.

Il Cardinale filosofo e matematico Nicola Cusano (tedesco) affermò anch’egli che il mondo era infinito e che non esisteva un centro del mondo data la potenza infinita di Dio. Il sistema copernicano fu dovuto ad un canonico polacco che dedicò la sua opera De revolutionibus orbium coelestium (1543)al papa Urbano VIII, che lo ringraziò. L’astronomia delle ellissi fu dovuta al cristiano neplatonico Keplero. E per il cristiano Newton lo spazio assoluto era il sensorium Dei, cioè l’organo visivo divino con cui Dio vedeva le cose in se stesse e non come apparivano all’uomo. L’analisi infinitesimale fu dovuta al cristiano luterano ma ecumenico Leibniz, favorevole ad una riconciliazione tra cattolici e protestanti. Come controprova vi è da domandarsi: come mai la rivoluzione scientifica non nacque in Oriente e non poteva nascere negli Stati islamici? Perché essi non ereditarono tramite la trinità il LOGOS, e con essa quell’interesse alla ricerca scientifica fondata sulla stessa razionalità divina.

Il dio islamico infatti, come quello ebraico, è scisso dal vincolo della razionalità. Esso è la potenza che non è vincolata dal LOGOS. La potenza precede la ragione. Il Dio cristiano, al contrario, è vincolato, nel suo stesso interno, dal LOGOS, dall’Intelletto. Da qui una concezione della natura come specchio della razionalità divina. Studiare la natura significava conoscere anche la perfezione divina. Tale interesse non poteva non mancare in chi pensava che Dio non si potesse ritrovare nella razionalità della natura, essendo egli trascendente rispetto alla ragione. Per un cristiano sarebbe stato impossibile concepire un Dio che imponesse ad Abramo di uccidere il figlio Isacco per metterlo ad una prova di obbedienza. O un dio che accetta di fare una scommessa con il diavolo a danno di Giobbe, risultando Jahweh vittorioso perché Giobbe si protesta innocente ma si sottomette infine alla volontà irrazionale di Jahweh pur non riuscendo a comprenderlo per averlo sottomesso a tante sofferenze, ma venendo premiato successivamente per la sua sottomissione. Ma Jahweh, se gli restituisce il doppio di ciò che materialmente gli aveva tolto e lo guarisce da tutte le malattie, tuttavia non gli restituisce in vita i dieci figli morti. La storia del cristianesimo è dunque la storia d’Europa, nonostante il rogo di Giordano Bruno, martire della libertà di pensiero, e la condanna di Galileo. Questi tristi e gravi episodi son dovuti a quello spirito di Controriforma che spense nella Chiesa cattolica il precedente liberalismo in fatto di conoscenze scientifiche.

Ma il grande storico della scienza Alexandre Koyré in Studi galileiani ha scritto che la rivoluzione scientifica fu la rivincita di Platone contro Aristotele. E si sa che il maggiore filosofo greco che influenzò il pensiero cristiano (come in Agostino) fu Platone, non Aristotele. La stessa cornice del pensiero dell’aristotelico S. Tomaso non fu data da Aristotele ma dal neoplatonismo (exitus et reditus, tutte le cose derivano da Dio e tornano a Dio con tutta la natura). Ma purtroppo il neoplatonismo ereditato dal cristianesimo portò all’oscuramento di quel grande patrimonio di scienza e di filosofia che fu il pensiero presocratico, indirizzato verso la concezione di un universo infinito in pensatori come Anassimandro, Eraclito e Democrito. A causa del cristianesimo, assorbente il platonismo, ci sono rimasti solo frammenti e citazioni del pensiero presocratico.

Oggi l’Europa è pervasa da una malattia mortale che è il relativismo, frutto della perdita di riferimento ad un diritto naturale che è rimasto malamente rifugiato nella dottrina cattolica. Nel Trattato di Lisbona (2007), Carta di fondazione dell’Europa cosiddetta Unita, a causa di un laicismo relativistico, facente capo ad una società multiculturale e multirazziale, si è   voluto impedire un riferimeto alle radici cristiane dell’Europa, credendo con ciò di salvare l’Europa da influenze religiose. L’errore grave è derivato dal non aver voluto riconoscere l’identità europea, che è stata forgiata dalla storia del cristianesimo. Si sarebbe potuto almeno superare l’ostacolo facendo riferimento alle radici greco-romano-cristiane dell’Europa, con ciò evitando di dare una connotazione unicamente religiosa all’Europa. Radici greche per avere ereditato, pur criticamente per quanto riguarda la fisica, la scienza greca; romane per avere ereditato la giurisprudenza romana (nel codice giustiniano).

Il diritto naturale è quel diritto che è stato ereditato dallo stoicismo greco e poi dal giusnaturalismo moderno (Grozio, Pufendorf, Leibniz, Locke, Rousseau, Montesquieu, Kant), purtroppo inteso come diritto della ragione, e perciò riferibile alla sola natura umana. E senza il diritto naturale si cade nel relativismo dei valori morali. Ma, come scrisse, Max Weber, filosofo e sociologo, nonché studioso della storia delle religioni, non si uscirà mai dalla “lotta mortale tra valori morali”. Weber non capì che se ne poteva uscire solo con il diritto naturale, che non è culturale ma metaculturale in quanto deve trascendere tutte le culture. Non vi è infatti fuori dell’Europa un’area geografica in cui si sia riconosciuto il diritto naturale come fondamento di tutti i diritti.  La decadenza dell’Occidente è dovuta alla perdita di quella bussola che serve come mezzo di orientamento in quella foresta confusa che è oggi il campo dei cosiddetti diritti umani. Se ci si domanda infatti su che cosa siano fondati, la domanda oggi è costretta a rimanere senza risposta. Ma, come scrisse il giusnaturalista olandese Grozio  (De jure belli ac pacis), il diritto naturale esisterebbe anche se Dio non esistesse. Grozio, che voleva evitare di passare per ateo, aggiunse che il diritto naturale è connaturato alla natura divina, essendo espressione della sua razionalità, di cui partecipa la razionalità umana.

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Ciò che viene escluso da qualsiasi altra religione che non sia quella cristiana. Oggi il diritto naturale, ho detto, rimane rifugiato nella dottrina cristiana, in particolare in quella cattolica, per lunga tradizione. Pertanto, paradossolmente, la Chiesa oggi si pone come unico baluardo contro una cultura improntata al relativismo. Non per questo bisogna essere cristiani per sottrarsi al relativismo. Rimane infatti il diritto naturale contro ogni forma di relativismo dei valori morali. Tanto più che la Chiesa cattolica, con un documento del 1996, ha riconosciuto la verità dell’evoluzione biologica derivante da una comune origine di tutte le forme di vita. Adamo e Eva diventano in questo modo solo una rappresentazione simbolica, non scientifica, della creazione dell’uomo, nonostante l’interpretazione finalistica dell’evoluzione biologica data dalla Chiesa, che fa riferimento ad un disegno divino sottostante  a tutta l’evoluzione. Sulla base della malattia mortale del relativismo si arriva a concezoni antiscientifiche nella confusione tra morale e diritto, di cui è frutto, per esempio, l’equiparazione innaturale del matrimonio ad una coppia di omosessuali, dimenticando che il termine matrimonio deriva dal termine “mater”.

Tutta la filosofia contemporanea (tranne quella di Robert Nozick in Anarchia, Stato, Utopia) è intrisa di relativismo. I filosofi del diritto, come il tanto lodato Norberto Bobbio, non riconoscono alcuna validità di fondamento al diritto naturale, con ciò non potendo giustificare le loro scelte morali. Bobbio non potè giustificare, per esempio, il suo passaggio dal fascismo all’antifascismo se non sulla base di superiori valori morali. Ma chi stabilisce la superiorità di certi valori morali rispetto ad altri?

Non esiste, perché non può esistere, un tribunale dei valori morali. La storia ha dimostrato che i valori morali superiori sono sempre quelli dei vincitori. Anche il nazismo aveva i suoi valori morali. Ma non li impose perché perse la guerra.  Il noto filosofo italiano Remo Bodei non si è sottratto nemmeno lui al relativismo, pur scrivendo che l’etica laica non è necessariamente relativista. In un suo articolo scritto il 3 aprile 2005 sul quotidiano Ilsole24Ore della Domenica, in occasione della morte di Giovanni Paolo II, contrapponendosi alla tesi del papa (Fides et ratio), secondo cui l’età moderna ha prodotto la separazione tra fede e ragione, con il conseguente relativismo etico, Bodei crede di poter superare il relativismo offrendo, senza accorgersene, una medicina che è peggiore del male che vuole curare, cioè lo stesso relativismo. Egli infatti oppone al “paradigma perduto della natura umana”, “all’esistenza di leggi immutabili ed oggettive” “un corpo di regole e di leggi che ha valore proprio perché non esistono naturalmente”. Ed egli le ricava da quella zona “di scelte di fondo oscure”, per cui non è in grado di giudicare tra scelte di fondo opposte, e con la pretesa  infondata di condannare l’autoritarismo. Se i valori morali nascono da “scelte di fondo oscure” si può concludere che ognuno ha i suoi valori morali conseguenti dalla sue personali “scelte di fondo oscure”. E non si ha alcun criterio oggettivo per preferire alcune scelte ad altre.

Infatti per i Paesi islamici le leggi fondate sul Corano esprimono valori morali superiori a quelli dell’Occidente corrotto. E in quei Paesi  l’espressione “diritti umani” non è mai esistita. La Carta dellONU è contraddittoria nella sua applicazione. Essa parla di diritti umani senza dire su che cosa siano fondati tali diritti. Infatti ne fanno parte parte tanti Paesi, come la Cina e tutti gli Stati islamici, in cui l’espressione “diritti umani”  è priva di qualsiasi significato perché del tutto sconosciuta. Non si sa più che cosa siano i diritti umani. Ma ne parla anche la Chiesa cattolica, pur essa contaminata di fatto da un pragmatico ecumenismo nel suo stato di necessità, che è quello di non acuire i contrasti con l’islamismo nella paura che vengano ancor più perseguitate le minoranze cristiane negli Stati islamici, in cui la cosiddetta primavera araba si è scoperto che era un inverno arabo, con il ritorno dell’islamismo più duro e più puro. E il relativismo, che è il fondamento della società multuculturale, è il maggiore responsabile della silenziosa invasione, con l’immigrazione, dell’invasione islamica.

Oggi bisogna che la Chiesa cattolica si renda conto che bisogna far concordare il diritto naturale con l’evoluzione biologica per superare una concezione antropocentrica, e perciò antiscientifica, della natura. Ma in questo modo dovrebbe riconoscere l’inutilità della credenza in Dio e del proselitismo se il diritto naturale è espressione della razionalità divina. Il limite del diritto naturale di uno è il diritto naturale di un altro alla sua autoconservazione. E dal diritto naturale così inteso derivano tutti gli altri diritti fondamentali, a iniziare dal diritto alla libertà. Contro coloro che dicono che il termine “diritto” ha una connotazione puramente umana perché in natura non esisterebbe un diritto naturale si può rispondere dicendo che in questo caso è una questione di termini.

Al posto dell’espressione “diritto naturale” si può infatti, in analogia con il primo principio della dinamica, usare l’espressione “principio naturale della TENDENZA di ogni organismo alla sua auto-conservazione”. Non contraddetto dalla catena preda-predatore, perché il predatore non uccide per crudeltà, come fa l’uomo per motivi culturali, ma solo per necessità di sopravvivenza, per la sua auto-conservazione. Alla luce del diritto naturale si ha una concezione che demolisce la concezione biblica dell’uomo come padrone della Terra.  Mentre con i valori morali tutto si giustifica perché si rimane all’interno delle tradizioni culturali.

Le conoscenze scientifiche odierne hanno tuttavia demolito l’immagine di una razionalità della natura in considerazione della profonda incidenza della casualità sin dalla formazione dell’universo visibile a iniziare dal Big Bang per arrivare alla formazione del nostro sistema solare e conseguentemente alla nascita della vita sulla Terra. Tutta l’evoluzione biologica tradisce ancor di più l’incidenza della casualità sin dalla formazione del DNA e della cellula eucariotica, formatasi dopo tre miliardi di anni dalla casuale simbiosi di cellule procariotiche,  essendo  la cellula procariotica quella dei batteri e delle alghe verdi-azzurre. Senza la casuale formazione della cellula eucariotica la Terra sarebbe ancora abitata solo da batteri e da alghe verdi-azzurre, monocellulari. D’altra parte il Big Bang non può più ritenersi come origine dell’universo giacché la cosmologia ritiene che il Big Bang sia anch’esso un episodio casuale e marginale da ricomprendere all’interno di un pluriverso, o insieme di universi paralleli.

Anche la cosmologia ha portato alla demolizione di una concezione antropocentrica della natura e alla crisi delle religioni giacché non si può escludere che nel gioco dei grandi numeri esistano in altre parti dell’universo, anche soltanto quello visibile, altre forme di vita intelligente pari, se non superiore, a quella umana. Come ha scritto il fisico matematico Roger Penrose nell’opera di circa mille pagine intitolata La strada che porta alla realtà. Si pensi che l’universo visibile comprende circa 200 miliardi di galassie comprendenti ciascuna 200-300 miliardi di stelle. Dice Penrose che sarebbe bastato un universo visibile molto più piccolo per rendere molto probabile l’esistenza di sistemi solari aventi forme di vita intelligente.

In base anche alla sua esperienza personale, pensa che ancora oggi le religioni siano capaci di esercitare una censura, diretta o indiretta che sia, sull’espressione di posizioni culturalmente non ortodosse?

A questa domanda si può rispondere brevemente. Dipende dalle religioni. E non è necessario fare riferimento ad una esperienza personale. Basta essere informati per sapere ciò che capita ogni giorno. In India, nonostante una recente rivoluzione tecnologica, rimane una società schizofrenica, in cui vigono ancora i vecchi miti della religione indù e di altri miti risalenti a migliaia di anni fa.  Si tratta di miti che sono più vecchi di quelli dell’Antico Testamento. Quando si vedono milioni di individui che vanno a purificarsi nelle cosiddette sacre, ma luride e contaminanti, acque del Gange, non si può non rimanere sconcertati. Gandhi e Indira Gandhi fu uccisa da fanatici induisti. Gandhi fu considerato una sorta di eretico per il suo voler dialogare con altri religioni. Indira Gandhi fu uccisa perché proponeva dei metodi di limitazione delle nascite.

Non parliamo poi dell’islamismo, interno allo stessa India, con continui conflitti tra induisti ed islamici.  L’unica grande religione che oggi sia di fatto incapace di esercitare una censura diretta o indiretta è il cristianesimo, che si trova in difesa anche in quell’Europa di cui è stato le radici storiche. Soltanto in Italia può apparire che il cattolicesimo sia in grado di esercitare una censura. In realtà le chiese si stanno vuotando e la Chiesa dimostra anche in Italia tutto il suo affanno. Di fatto essa appare più ricca di ritualità che di spiritualità. L’Italia è sostanzialmente uno Stato laico nonostante certi privilegi materiali riconosciuti alla Chiesa in fatto di imposte sulle sue grandi ricchezze immobiliari e finanziarie. Essa è l’ultimo baluardo in Italia contro l’innaturale equiparazione del matrimonio alle coppie di omosessuali. Su questo hanno ragione gli islamici quando dicono che l’Occidente è corrotto. Ma la causa della sua corruzione è il relativismo.

È possibile il dialogo con un dio privo dell’intermediazione della religione?

Anche a questa domanda non si può dare una risposta breve.  Riporto a questo proposito alcune frasi tratte dal libro di Oriana Fallaci Lettera ad un bambino mai nato e riportate nel mio libro Io non volevo nascere.

“nulla è peggiore del nulla…nascere merita sempre…perché l’alternativa è il vuoto e il silenzio…Il brutto è dover dire di non esserci stato”. Notare la contraddizione: infatti nel nulla non si può dire alcunché, nemmeno che nulla è peggiore del nulla. Ma questo era un tentativo iniziale di dare, se non un senso, una giustificazione, alla vita. Infatti è il figlio mai nato, abortito, che deve parlare al posto della madre per porla di fronte alla realtà che lei non voleva riconoscere: “Non appena compresi che tu non credevi alla vita, io mi permisi la prima ed ultima scelta: rifiutare di nascere…Si nasceva perché altri erano nati e perché altri nascessero…Se non accadesse così, mi dicesti, la specie si estinguerebbe. Anzi, non esisterebbe. Ma perché dovrebbe esistere, perché deve esistere? Lo scopo qual è? Te lo dico io:un’attesa della morte, del niente. Nell’universo che tu chiamavi uovo lo scopo esisteva: era nascere. Ma nel tuo mondo lo scopo è soltanto morire: la vita è una condanna a morte. Io non vedo perché avrei dovuto uscire dal nulla per tornare nel nulla”. E il mancato padre aggiunge: “Ti scrivo per congratularmi, per riconoscere che hai vinto…Sei riuscita a non cedere al bisogno degli altri, incluso il bisogno di Dio…Dio è un punto esclamativo con cui si incollano tutti i cocci rotti: se uno ci crede vuol dire che è stanco, che non ce la fa più a cavarsela da sé. Tu non sei stanca perché sei l’apoteosi del dubbio…E solo chi si strazia nelle domande per trovare risposte, va avanti. Solo chi non cede alla comodità di credere in Dio per aggrapparsi ad una zattera e riposarsi può incominciare di nuovo: per contraddirsi di nuovo, smentirsi di nuovo, regalarsi di nuovo al dolore”.

Ecco, anche per me, andando oltre Oriana Fallaci nel fare riferimento a quel mistero che circonda anche la scienza quando si arriva ai confini della conoscenza (come nella cosmologia), Dio è una sorta di tappabuchi che serve a spiegare cose che non potremo mai capire. La stessa domanda “perché l’essere piuttosto che il nulla?”, sebbene possa apparire senza senso alla luce della risposta del vecchio Parmenide (l’essere è e il non essere non è), acquista un misterioso senso che va oltre la logica. Infatti un universo eterno nascente dal nulla e giustificantesi da se stesso è quell’infinito leopardiano in cui la mente non può non naufragare (poesia “l’infinito”). Dio è quell’essere con cui si incollano tutti i cocci rotti della nostra conoscenza. Dio è l’essere che dà riparo alla disperazione del ritorno nel nulla dopo la morte. Dio è quell’essere con cui si cerca di dare un senso alla vita, che scientificamente non ne ha alcuno.

Eppure, come osservò il filosofo Ludwig Buchner (Forza e materia), è più angosciante il pensiero del nulla o non è più angosciante il pensiero che dopo morti, divenendo immortali, non possiamo più morire? Ecco perché Platone aveva concepito, riprendendo il pensiero da Pitagora, la teoria della reincarnazione. Ma a che serve la reincarnazione se, una volta rinati, non si ha ricordo delle vite precedenti? E’ come se si nascesse per la prima volta, conservando tutta l’angoscia derivante da mancanza di certezze.  Potrebbe esistere un aldilà senza Dio, in cui le anime, come nell’aldilà platonico subiscono un giudizio che si danno da sé prendendo coscienza della loro vita da incarnati perché il Demiurgo di Platone non è un giudice ma un Dio ordinatore del mondo, che poi abbandona a se stesso.

Concludo dicendo che non mi appaiono in contrasto con una concezione scientifica del mondo fenomeni verificati da seri psichiatri che, usando il metodo dell’ipnosi regressiva, hanno accertato che i soggetti a tale ipnosi sono capaci di parlare correttamente lingue mai imparate e di raccontare avvenimeti precisi mai vissuti nella vita in corso e risultati veri. Sono fenomeni che non sono in contrasto con la scienza se tale stati di ipnosi hanno una verifica fisica, pur scientificamente non spiegabile. Dunque, rispondendo più precisamente alla domanda, non è necessario ricorrere all’intermediazione delle religioni, soprattutto se ci si riferisce ad un Dio antropomorfico quale quello delle religioni cosiddette rivelate. Anzi, non è nemmeno necessario credere che esista un Dio per credere che esista un aldilà. Ma, data l’evoluzione biologica da una comune origine di tutte le forme di vita, perché dovrebbe esistere solo l’immortalità della vita umana? Una risposta che escluda l’immortalità di tutte le forme di vita sarebbe illogica. Come si vede, si possono raccogliere solo cocci dalle religioni cosiddette rivelate, mentre rimangono pur sempre inspiegabili molti fenomeni fisicamente accertabili ma scientificamente inspiegabili, anche se rappresentano l’unica porta socchiusa verso un aldilà.

Autore: Iacopo Bernardini

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