Quando il mestiere di “Tradurre” si fa video…
Un interessantissimo documentario firmato dal regista Pier Paolo Giarolo, per Officina Outroad, distribuzione Jole Film.
Sarebbe riduttivo definire questo splendido documentario sull’attività del tradurre come una raccolta di interviste a numerosi, importanti traduttori letterari.
Dalle loro riflessioni, infatti, emergono con chiarezza numerose questioni chiave nel dibattito attuale. Si parla di rispetto e di ammirazione, di etnocentrismo e di ospitalità, di lotta con il testo, di sfida nei confronti delle convenzioni letterarie codificate nella lingua di arrivo, di invisibilità e visibilità del traduttore, di questione morale rispetto alle culture minoritarie. Si mettono in discussione metafore ormai entrate nell’uso come quella del traduttore come “cavaliere errante”, alla quale si preferisce la metafora del traduttore come il ronzino di Don Chisciotte che si assume il compito di accompagnare il cavaliere nelle sue stravaganti e a volte impossibili imprese, oppure quella, certo meno poetica ma efficace, del traduttore come venditore ambulante di parole che promuove una vendita porta a porta. Si ricorda che l’aspirazione del traduttore è quella di essere un vetro, altra metafora che ritorna continuamente nella storia della riflessione sulla traduzione, ma un vetro che si sa essere imperfetto, zigrinato, con sbavature, gocce e polvere, che trasforma e modifica inevitabilmente. Il suo lavoro è visto come un esercizio di spiritualità orientale, come il punto di arrivo di un lungo processo di apprendimento alla fine del quale si deve dimenticare ciò che con fatica si è appreso, per approdare alla naturalezza della scrittura.
Una pratica, si badi bene, entro cui è insito il pericolo del fallimento, di una resa non efficace, capace di per se stessa non solo di rovinare un potenziale capolavoro, ma di demolire definitivamente la percezione che, dell’intero microcosmo orbitante attorno a quella storia, si ha.
Il traduttore dunque come un musicista o un danzatore che si esercita a lungo, incessantemente e fa dell’esercizio una disciplina, privilegiandone il rapporto intimo con il testo, quindi la lentezza, l’ ammirazione che preclude ogni comparazione ed esclude il desiderio di mettersi al posto dell’altro. La traduzione non è cioè un testo da comparare all’originale, una copia più o meno bella, più o meno fedele: è semplicemente altro.
Emerge, se ancora c’era bisogno di dimostrarlo, che il traduttore vero, che sta dietro le quinte, spesso completamente ignorato dal lettore e quasi sempre trascurato dagli editori – almeno economicamente – , è un professionista delle scritture e delle culture e non solo un conoscitore di lingue.
Entra così empaticamente nel testo, da farlo proprio e serbarne memoria nel viver quotidiano, arrivando persino a comprendere le associazioni d’idee che hanno mosso lo scrittore; e non di rado i dubbi amletici in merito alle migliori scelte stilistiche vengon sciolti proprio nella routine giornaliera di questi uomini e donne, imponendosi a loro quasi sottoforma di epiphanies, rivelazioni subitanee di un’efficacia disarmante, come non sarebbe stato possibile in ore di lavoro nel proprio studio; insomma il traduttore come “uomo della strada, in cui il marciapiede funge da suggeritore”!
Alle interviste, quasi tutte riprese nello studio del traduttore, nel suo laboratorio, con la telecamera che indugia sulla tastiera del computer, sui dizionari aperti sul tavolo, sui martoriati libri che si stanno traducendo, sono giustapposte immagini filmate in un secondo luogo di lavoro artigianale: il forno.
Il regista infatti ha ripreso, in giro per l’Europa, il lavoro altrettanto silenzioso e, a suo modo, rituale di fornai e fornaie che impastano il pane, lo lavorano, gli danno la forma desiderata, lo infornano. Si stabilisce così un parallelo evocativo tra il lavoro manuale dei fornai, che partendo dagli stessi elementi (farina, acqua, lievito, sale) creano lo stesso prodotto eppure diverso secondo le diverse nazioni, e il lavoro del traduttore, che impasta le lettere sulla tastiera del computer secondo le diverse lingue. I forni ripresi sono forni artigianali, così come gli studi dei traduttori hanno l’aspetto essenziale e riservato dello studiolo umanistico.
Ai tre capitoli del documentario (traduttore, lingue, culture) si affiancano dunque le tre fasi principali della lavorazione del pane: l’impasto, la forma, la cottura. Il ticchettio ovattato della tastiera del computer dei traduttori richiama il movimento cadenzato e ritmico dei fornai che impastano e sagomano i pani. Il suono delle parole, il ritmo delle frasi, che costituisce uno dei momenti più importanti e più difficili della loro attività, trova un analogon nel lavoro dei fornai: il regista indugia sui movimenti ritmici dei fornai, sui suoni che scandiscono il loro lavoro manuale di impastare e di modellare, fino a giungere a registrare il “canto” che fa il pane appena uscito dal forno, simile a quell’atteggiamento di ammirazione e di ascolto che ogni buon traduttore dovrebbe avere nei confronti del testo da tradurre, riuscendo a trasformare in stile finanche elementi delicati come le ripetizioni, pur di non “tradire” l’originale.
Si affianca così un terzo fil rouge che si dipana lungo tutto il documentario e che lo rende ancor più compatto e organico: è una breve frase di una composizione di Bach: le note della melodia sono riproposte in vari momenti ed eseguite da strumenti diversi, indicati dai traduttori; strumenti “corrispondenti” che dovrebbero meglio rappresentare la lingua di cui quei traduttori sono esperti e che è parlata dai fornai ripresi nella loro attività. Così la melodia di Bach sarà suonata dalla chitarra mentre si vedono al lavoro i fornai spagnoli, dal clarino per i francesi, dagli ottoni per i tedeschi, dal violoncello per i portoghesi, dal flauto per gli olandesi ecc. Anche in questo caso l’analogia fra la traduzione in diverse lingue di un testo e l’esecuzione con diversi strumenti di una melodia è evidente ed è esplicitata quando si sottolinea come una melodia composta per violino, se poi eseguita su un pianoforte incontri delle difficoltà oggettive, legate alla natura diversa dello strumento che materialmente consente o meno di fare certe cose; nonché ai limiti, per così dire “anatomici” di un esecutore rispetto all’altro.
Pubblichiamo qui di seguito il simpatico appello del regista, certi che i nostri lettori ne comprenderanno ed apprezzeranno appieno lo spirito d’iniziativa:
Il dvd è in vendita a 10 euro + le spese di spedizione (2 euro per la prioritaria, 5 euro per la raccomandata) oppure ritiro a mano con piatto di risotto al radicchio che offro per il pranzo…;-)
Questi soldi sono per me l’unica forma di finanziamento; il documentario, infatti, non ha ricevuto alcun denaro pubblico o aiuti economici di altro genere.
Per il pagamento puoi fare:
– un bonifico bancario intestato a: Pier Paolo Giarolo IBAN IT82S0316501600000110284723
– un bonifico su conto corrente postale intestato a: Pier Paolo Giarolo IBAN IT21 J076 0111 7000 0006 3339 113
– una ricarica Postpay sulla carta 4023 6005 6441 6412 intestata a Pier Paolo Giarolo, specificando nella causale: nome cognome – Tradurre. Appena mi arriva il pagamento spedisco subito la copia personalizzata.
Per info e prenotazioni:
– mobile 334/8785565
– fax 0444/439100
– e-mail pierpaolo@outroad.it
– web www.outroad.it
Giovanna Caridei