Grande successo, dalla Svizzera italiana, per “Babel – Festival di Letteratura e Traduzione”, svoltosi a Bellinzona, in Canton Ticino, lo scorso autunno
Paese ospite della IV Edizione, la Russia: tanti gli scrittori e i rispettivi traduttori italiani presenti all’incontro, per parlare del sottile fil rouge che unisce i loro mondi.
Il “Leitmotiv” della quarta edizione di Babel – Festival di Letteratura e Traduzione, svoltosi nella meravigliosa cornice medievale di Bellinzona, patrimonio dell’umanità UNESCO, è stato un apparato linguistico che ha scandito innumerevoli momenti chiave del XX secolo: la lingua russa, massima espressione di una cultura e quindi di una letteratura di grande tradizione e spessore. Gli autori invitati, infatti, incarnano alcune tra le voci più significative della Russia odierna, tanto per impianto narrativo, quanto in relazione ai sistemi valoriali trasmessi.
A vent’anni dal crollo del Muro di Berlino, infatti, la Russia si trova ad attraversare una fase di intensa transizione e violente contraddizioni. Per tradursi nel proprio presente, si confronta col passato, quello remoto della tradizione ortodossa e degli zar, quello più recente dell’Urss e con le attuali spinte occidentalizzanti, divisa tra vecchia burocrazia e fervore nazionalistico, capitalismo e spiritualità.
In definitiva è proprio in momenti come questi che lo scrittore cerca una lingua capace di dire il nuovo, forte tuttavia della sintassi di ciò che è stato.
In tutto questo articolato processo un ruolo di strategica rilevanza è rivestito dal traduttore, de facto “cavallo da tiro della cultura”, anche se spessissimo si tratta di un “purosangue”.
La figura del traduttore è infatti stata ammantata da un’aura d’immagini evocative: prima fra tutte l’accostamento al perseguitato popolo dei Drusi, costretti ad una vera e propria diaspora, ma capaci di adattarsi, aderendo perfettamente alla nuova terra di adozione.
In uno dei Racconti della Kolyma di Varlam Salamov poi si parla di un piccolo albero siberiano, una variante del pino cembro che si chiama stlanik o «pino prostrato». Questo alberello, quando in autunno il clima sembra ancora mite, improvvisamente si sdraia sul terreno: è il segnale che l’inverno sta arrivando, e infatti di lì a poco prende a nevicare ferocemente. Molti mesi più tardi, tuttavia, mentre la neve e il gelo sembrano ancora stringere la terra nella loro morsa, lo stlanik misteriosamente si rialza. «Dopo due o tre giorni – scrive Salamov – cambiava il vento, e calde correnti d’aria portavano la primavera».
Dopo una breve riflessione sulle scelte editoriali di titolazione, a partire dalla “vendibilità” di un testo nei vari paesi in cui questo viene tradotto, è la volta di un excursus sulla storia dell’editoria nell’Italia post-fascista, in cui il traduttore rivestiva il primario ruolo di selezionatore/divulgatore culturale di quanto c’era da importare nel nostro Paese, si è passati all’analisi dell’impegno civile dello scrittore, del suo bisogno morale di raccontare la realtà che lo circonda, in qualche modo dando senso anche a persone, atteggiamenti e situazioni limite, umanamente non sostenibili.
Un’umanizzazione del dolore, dunque, che si fa strumento di purificazione, di comprensione per il lettore (l’uomo della strada, sociologicamente parlando); insomma, una sublimazione del profondo.
In tal senso ogni scrittore è anche traduttore, capace di filtrare e fissare una realtà immutabile; analogamente ogni traduttore è a suo modo autore, producendo un proprio testo originale, dalle caratteristiche che attengono alla sfera del non verbale.
Lo scarto poi tra l’uso corretto che di una lingua si fa e quello “spurio”, sopra le righe, determina lo stile di uno scrittore.
A seguire una lunga ed avvincente carrellata d’incontri con l’autore, in cui scrittori e traduttori hanno ingaggiato brillanti “match dialettici”, misurandosi sul comune terreno minato della parola scritta.
Hanno così svelato tutti i retroscena, o quasi, di questo simbiotico rapporto, fatto di lunghe conversazioni telefoniche internazionali o in chat, in merito alla migliore resa di questo o quel termine, d’incontri e fin’anche soggiorni dell’uno a casa dell’altro in cerca di lumi, su passaggi oscuri, frasi idiomatiche, problemi di natura lessicale o ricorso a slang particolarmente criptici.
Ed è proprio in seguito ad una così assidua frequentazione, che dei rapporti nati come professionali finiscono col trasformarsi in vere e proprie amicizie, consentendo ad esempio ad un traduttore di conoscere il proprio autore meglio di quanto non possa dire la sua stessa famiglia.
Ecco perché generalmente ad uno stesso traduttore viene commissionato di seguire un po’ tutta la produzione letteraria di un autore, nei singoli paesi in cui questo è tradotto; si allontana, così, il rischio di “censura”, garantendo la migliore resa possibile.
Non di rado accade addirittura che le domande preliminari, poste da un traduttore al proprio autore, siano così acute da indurre quest’ultimo alla riflessione e se occorre anche alla modifica dell’originale; il libro, dunque, come frutto di un’elaborazione intellettiva corale.
All’opposto, invece, una discreta casistica aneddotica di pessime o negligenti traduzioni, frutto di sporadiche, frettolose e superficiali ricerche documentarie.
Esiste poi un livello di comprensione standard di un testo, operato da parte del lettore, al di là delle diverse traduzioni disponibili, per il quale si è soliti servirsi della metafora dell’oceano che, malgrado le diversità di superficie (le onde mutevoli), presenta un abisso, un sottotesto da tutti riconosciuto/riconoscibile.
Un caso per tutti: Daniel Stein, traduttore, di Ljudmila Ulickaja, appena uscito per Bompiani; si tratta di una raccolta di fonti documentarie di varia natura (lettere, diari, articoli, carteggi, etc.), vari personaggi ed un diverso registro linguistico a seconda degli interlocutori che si susseguono, più una serie d’incursioni ad opera della stessa autrice ed addirittura lettere indirizzate alla sua amica-traduttrice.
L’espediente poi per approcciare un testo così sedimentato, complesso: smontare e tradurre i pezzi appartenenti ad un medesimo filone, per poi rimontare il tradotto nella sequenza originaria; e la scoperta che questo è il medesimo espediente utilizzato dalla stessa scrittrice in fase creativa.
Del resto, come diceva lo stesso Calvino, il modo migliore per leggere un libro, immergervisi dentro sin nei più reconditi anfratti, è proprio quello di tradurlo!
Settore ricerca
Anche quest’anno il festival è stato scandito da alcuni momenti formativi.
In primis un workshop russo-italiano, che ha dato ai partecipanti l’opportunità di lavorare in un laboratorio di prosa con Emanuela Guercetti, su testi di Ljudmila Ulickaja – presente a una delle lezioni – e in uno di poesia con Serena Vitale, su testi di Osip Mandel’štam.
Il workshop inglese-italiano, invece – inaugurato lo scorso anno – era incentrato sulla traduzione delle differenti modalità di scrittura di alcuni autori statunitensi del XX secolo; per la prosa si è lavorato con Franca Cavagnoli, per la poesia con Matteo Campagnoli.
E dulcis in fundo: due lezioni di traduzione comparata tenute da Emanuela Bonacorsi (traduttrice di Shishkin e Boc’orišvili) per il workshop russo-italiano, e dal poeta ed esperto di traduttologia Franco Buffoni per quello inglese-italiano.
La biblioteca di Babel
Babel, in collaborazione con la Biblioteca cantonale di Bellinzona, ha dedicato uno spazio alla traduzione letteraria, un fondo specializzato in cui si possono trovare i testi e le riviste fondamentali legati al mondo della traduzione.
La raccolta, finora più che altro a carattere teoretico, è stata ampliata – proprio a partire da quest’anno – con l’aggiunta di saggi che romanzieri e poeti hanno dedicato alla traduzione, e di traduzioni esemplari. Sono inoltre stati introdotti commenti e abstract, per permettere una migliore fruizione dei testi.
Simposio svizzero per traduttrici e traduttori letterari
Una presentazione del panorama svizzero di organizzazioni e iniziative concernenti la traduzione letteraria e una discussione tra traduttori ed editori sulla realtà professionale; ma anche un momento d’incontro e di scambio per i traduttori di tutte le lingue, che si è focalizzato sulla condizione quotidiana del lavoro; il tutto in un’ottica europea, grazie anche alla partecipazione di Martin de Haan, traduttore e presidente del Conseil Européen des Associations de Traducteurs Littéraires (CEATL). In tale cornice è inoltre stata lanciata una Carta dei Traduttori.
L’incontro, organizzato da AdS Autrici ed Autori della Svizzera, ha fruito della preziosa collaborazione di Übersetzerhaus Looren (casa della traduzione), il Centre de Traduction Littéraire de Lausanne (CTL), in sinergia con la Fondazione svizzera per la cultura Pro Helvetia.
Programma Moving Words – Promozione svizzera della traduzione 2009-2011
Un paese, quattro lingue, almeno quattro letterature. Tradotta in oltre 50 lingue, la letteratura svizzera è presente in tutto il mondo. Col suo polo d’intervento «Moving Words» la Fondazione svizzera per la cultura Pro Helvetia concentra l’attenzione sul lavoro di traduttrici e traduttori, nel desiderio di conferire maggiore visibilità alla traduzione e fare apprezzare di più questa attività creativa, mediatrice di cultura.
Nel triennio 2009–2011 Pro Helvetia mette in atto misure volte a incrementare sia la quantità sia la qualità della traduzione letteraria in Svizzera. Oltre a puntare specialmente su un aumento numerico delle traduzioni di letteratura svizzera nel mondo, la Fondazione promuove con offerte mirate di perfezionamento la qualificazione di traduttrici e traduttori attivi in campo letterario.
Giovanna Caridei
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